Pâques du Seigneur


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Nei giorni precedenti ci siamo soffermati sul racconto dell’ultima cena, il racconto in cui Gesù ha dato il segno del suo amore, l’eucaristia, e ci siamo anche soffermati sulla passione vissuta da Gesù, mettendo a fuoco come Gesù abbia risposto prima con l’eucaristia, nient’altro che passione prefigurata, e poi con la vita, un unico amen: un amen dossologico a Dio suo Padre, ma anche un amen a quelli che erano stati suoi fratelli, coinvolti nella sua vita, fratelli che erano giunti a mostrarsi avversari e persecutori. E concludevo la meditazione del venerdì santo con il seppellimento di Gesù nella tomba quale attesa della risposta del Padre. Gesù ha risposto – potremmo riassumere – a tutti ha risposto, «amando fino alla fine» (cf. Gv 13,1) e senza mai contraddire l’amore. Ma quando ha rimesso tutto nelle mani del Padre, quando ha deposto anche il suo respiro (cf. Lc 23,46; Sal 31,6), Gesù è entrato nell’attesa di una risposta. Per gli uomini, per Pietro, per Giuda, per gli altri dieci, per i sommi sacerdoti, per il potere politico romano, con la morte di Gesù era finita una vicenda, era veramente finita: una tomba con una pietra rotolata sulla porta dice anche visivamente che tutto è davvero finito. Secondo Matteo ci sono addirittura delle guardie che vigilano sulla tomba, perché resti chiusa, perché nessuno la apra, perché nessuno venga a rubare il cadavere di Gesù e poi intoni la favola, la leggenda che lui è risorto (cf. Mt 27,62-66).

Ma all’alba del primo giorno dopo il sabato, Maria di Magdala e l’altra Maria vanno a visitare il sepolcro. Ed ecco, proprio mentre guardano il sepolcro, sono colte da un evento di rivelazione. Un angelo del Signore, l’angelo interprete della parola di Dio, l’angelo interprete degli eventi operati da Dio nella storia, ebbene quest’angelo dice alle donne: «Non abbiate paura voi. So che siete alla ricerca di Gesù il crocifisso. Non è qui, è risorto, secondo le sue parole. Andate a dire ai suoi discepoli: “È risorto dai morti e vi precede in Galilea: là lo vedrete”». Queste parole dell’angelo interprete le abbiamo ascoltate tante volte, perché sono l’annuncio pasquale per eccellenza, sono anche l’essenziale della buona notizia per gli uomini. Gesù il crocifisso, dunque colui che era morto sulla croce, è risorto, e la tomba infatti è vuota. Sono parole che paiono insensate, contro la ragione, soprattutto contro l’evidenza della morte quale realtà da cui nessun uomo è mai tornato. Eppure queste parole di interpretazione vogliono dire una verità che è ben più grande di un miracolo, ben più profonda dello straordinario contenuto nell’annuncio: «Eghérte», «È risorto, si è destato». Questo è il grido della Chiesa, il grido liturgico, ma, come dice Pietro nella sua prima omelia dopo la Pentecoste, questo grido continua a significare: «Dio lo ha risuscitato, questo Gesù Dio lo ha risuscitato» (cf. At 2,24.32). Dio, il Padre di Gesù, colui che Gesù invocava nella fede e chiamava: «Abba, Padre» (Mc 14,36), gli ha risposto al di là della sua morte.