Pâques du Seigneur


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Gesù aveva definito la sua morte un battesimo, aveva parlato ai discepoli di un battesimo che doveva ricevere (cf. Lc 12,50). Ebbene, qui comprendiamo come la morte di Gesù è diventata davvero un immenso battistero: ogni uomo che muore è immerso in questo battistero, e nella propria morte incontra la morte di Gesù. La nostra morte è immersa nella sua morte, e con lui conosciamo dunque il rialzarci, o meglio, l’essere risuscitati da morte da un’azione di Dio che ci rialzerà, ma non solo ci rialzerà, ci darà vita, ci farà anche pienamente e radicalmente figli suoi. Ancora, basta ricordare quelle parole con cui Gesù, proprio parlando della sua morte come battesimo, ha sentito di dover chiedere ai discepoli: «Potete voi essere battezzati col battesimo con cui io sarò battezzato?» (Mc 10,38). Anche per ciascuno di noi la morte è un battesimo. Comprendiamo allora bene le espressioni che abbiamo ascoltato nella Lettera di Paolo ai Romani: siamo immersi nella morte di Cristo (cf. Rm 6,3-4), e la morte di Cristo è il vero battistero in cui tutti gli uomini sono in qualche misura immersi: credenti o non credenti, cristiani o non cristiani, la loro morte trova sempre la morte di Gesù e la morte di Gesù non è mai estranea a quella di noi uomini. D’altronde, alcuni padri della chiesa hanno osato dire che proprio nella morte troveremo la purificazione dai nostri peccati, perché la morte è un battesimo più radicale del battesimo sacramentale che abbiamo ricevuto e che ha dato inizio alla nostra vita cristiana.
«Nelle tue mani, Padre, raccomando il mio spirito» dovremo dire, e ciascuno di noi dovrà dirlo; e ciascuno di noi ascolterà la voce di Dio: «Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato». Perché nella morte saremo generati alla vita eterna, parteciperemo alla vita di Dio. La risposta del Padre a Gesù sarà anche una risposta a ciascuno di noi, perché se non ci fosse questa risposta anche per noi – ed è sempre Paolo a dirlo –, allora non ci sarebbe neanche stata la risposta per Gesù. Attenzione, nella Prima lettera ai Corinti l’Apostolo lo dice chiaramente: «Se noi non risorgiamo, neanche Cristo è risorto» (cf. 1Cor 15,16). Non afferma solo: «Se Cristo non è risorto, neanche noi risorgiamo» (cf. 1Cor 15,14.17), ma anche: «Se noi non risorgiamo, neanche Cristo è risorto». Affermazione scandalosa, ma Paolo la conferma dicendo: «Se noi non risorgeremo, vana è la nostra fede e noi siamo da considerare i più miserabili tra tutti gli uomini» (cf. 1Cor 15,19).

Al termine di questa sequela di Gesù che abbiamo cercato di fare, dall’ultima cena all’ora della resurrezione, possiamo allora dire che Gesù ha fatto al Padre una grande eucaristia, ha innalzato al Padre un grande ringraziamento. Il Padre ha gradito questo ringraziamento, lo ha accolto, e con la sua azione ha risuscitato Gesù, confermando la sua eucaristia. Ma questa conferma di Gesù è soprattutto un sigillo: avendo Gesù vissuto l’amore fino all’estremo, è degno di essere chiamato «mio Figlio», di essere Figlio del Dio che è amore, del Dio che, essendo amore, vince la morte. A me piace pensare che all’interno della vita trinitaria in cui Padre, Figlio e Spirito santo, in una circolarità, in una pericoresi, hanno uno scambio di vita, il Padre accoglie l’eucaristia del Figlio, il ringraziamento del Figlio, nello Spirito santo, ma ringrazia anche il Figlio di essergli stato fedele e di averlo rivelato a noi uomini. Davvero la Trinità è un’eucaristia reciproca nella quale noi siamo invitati a entrare.

ENZO BIANCHI