Conférence d'Enzo Bianchi

 

1. La creazione: opera trinitaria

Nel simbolo niceno-costantinopolitano, luogo privilegiato della fede apostolica e cattolica, la chiesa confessa: «Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili». Questo primo articolo di fede proclama che la creazione non è opera né del caso né della necessità: essa è frutto della volontà di Dio che ha creato il mondo per amore e nella libertà: come recita il Catechismo della chiesa cattolica, «il mondo trae origine dalla libera volontà di Dio, il quale ha voluto far partecipare le creature al suo essere, alla sua saggezza e alla sua bontà» (4).
Certamente l’ebraico dell’Antico Testamento non conosce termini che corrispondano ai nostri «cosmo», «mondo», «natura», «ambiente», ma ricorre all’espressione «cielo e terra» (cf. Gen 1,1; 2,4; Sal 115,15; 121,2, ecc.), oppure all’espressione «tutto», «il tutto» (kol, ha-kol: Sal 8,7; 103,19; Ger 10,16, ecc.). Mai l’universo è considerato come una realtà a sé stante, ma sempre in rapporto con Dio – dunque è creazione voluta e fatta dal Creatore, Dio – e sempre anche in relazione con l’uomo. Nel Nuovo Testamento raramente si usa kósmos per indicare il mondo in sé, l’universo (cf. At 17,24), ma si preferisce ricorrere ad altre formule, per esempio all’espressione «tutte le cose» (pánta, tà pánta: Gv 1,3; Rm 11,36; 1Cor 8,6, ecc.). In ogni caso, nel termine kósmos è inclusa l’umanità, perché kósmos è il mondo degli uomini, il luogo e l’oggetto dell’azione salvifica di Dio. Insomma, la Scrittura non si interessa al mondo in sé ma sempre al mondo come creazione di Dio, il cosmo di cui l’uomo fa parte. Solo Dio crea, e creare (verbo bara’) è sua azione specifica, azione che non può essere di altri, azione libera, gratuita, con cui Dio chiama all’esistenza e salva (5).

Dio, che non aveva bisogno della creatura, ha fatto posto all’alterità fuori di sé, ha limitato la sua divina onnipotenza e ha creato – non costruito, non fatto, ma fatto uscire dalla sua volontà – l’universo per eccedenza d’amore, «per avere qualcuno di fronte a sé cui fare i suoi doni meravigliosi», come scrive sant’Ireneo di Lione (6). La natura non è divina, Dio non è la natura, c’è alterità tra Dio e la sua opera; d’altro canto la natura non è un puro dato consegnato al dominio dell’uomo. Il mondo non è Dio, ma è di Dio, è creatura che appartiene a Dio ed è data solo in custodia all’uomo, come dono affidato alla sua responsabilità: e l’uomo «a immagine di Dio» deve custodire quel mondo creato nella libertà e per amore da Dio, e da lui dichiarato «bello e buono» (tov: Gen 1,4.10.12, ecc.) nel suo esistere e nella sua finalità.

Se la prima di tutte le lodi è quella che Dio ha fatto della sua creazione («Dio vide che era cosa bella e buona»: ibid.), non saprà l’uomo lodare anche lui la creazione che gli è stata affidata? Il cosmo è stato lodato da Dio e, gravido di una gloria che gli è propria, risponde a Dio con una testimonianza, sicché «i cieli raccontano la gloria di Dio, e il firmamento annuncia l’opera delle sue mani» (Sal 19,2), «tutte le opere lodano il Signore» (Sal 145,10), «i fiumi battono le mani, le montagne gridano di gioia» (Sal 98,8), «gioiscono i cieli, esulta la terra … gli alberi del bosco danzano di gioia» (Sal 96,11-12)… Dall’in-principio c’è una liturgia cosmica, ben prima della liturgia dei credenti!

Ma occorre leggere la creazione non solo a partire dall’Antico Testamento: bisogna leggerla da cristiani anche attraverso il Nuovo Testamento e comprenderla come opera trinitaria, ossia come opera di Dio compiuta attraverso il Figlio e nella potenza dello Spirito santo. Il Figlio di Dio, infatti, è la sapienza, l’architetto (amon: Pr 8,30) attraverso il quale tutto è stato chiamato all’esistenza: «in virtù di lui esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui» (1Cor 8,6). Il Figlio è il «primogenito di ogni creatura» (Col 1,15), è colui attraverso il quale tutto fu fatto (cf. Gv 1,3; Col 1,16-17). Il Figlio è il mediatore di tutta l’opera creazionale, è il fondamento dell’esistenza dell’intero creato. Non si dovrebbe mai dimenticare questa visione cristiana della creazione che la esalta nella sua dignità, nel suo fondamento, nel suo destino. La creazione è stata fatta dal Padre «per mezzo di lui e in vista di lui» (Col 1,16), il Figlio; «tutto ciò che esiste in lui è diventato vita» (Gv 1,3-4), ed è lui «l’erede di tutte le cose create» (Eb 1,2), perché tutte le creature saranno in lui reintestate, ricapitolate (cf. Ef 1,10), affinché «Dio sia tutto in tutti» (1Cor 15,28). Ecco come possiamo anche interpretare il passo di Gv 3,16 citato all’inizio nel brano di Origene: Dio ha tanto amato il mondo da donargli il suo Figlio non solo alla pienezza dei tempi, ma associando il Figlio all’opera creazionale fin dall’in-principio.

L’universo dunque non è solo opera di Dio, sua creazione, come rivela l’Antico Testamento: esso è abitato dalla presenza di Dio, è destinato alla salvezza e alla gloria, è chiamato alla nuzialità con Dio tramite il Figlio che, fatto uomo, fa abitare nella carne umana creata la pienezza della vita divina! Solo in questa sovraconoscenza (vera epígnosis: Ef 1,17; 4,13; Fil 1,9, ecc.) della realtà della creazione in Cristo, per Cristo e in vista di Cristo è possibile comprendere la nostra vocazione a «diventare partecipi della natura divina» (2Pt 1,4): essa è frutto della kénosis, dell’abbassamento di Dio nell’umanità e dunque nel mondo. In verità il Nuovo Testamento ci rivela la presenza del Figlio di Dio invisibilmente presente, nascosto ma sprofondato nella creazione come «Parola-Lógos» e come «Sapienza-Sophía»: «In ipso enim vivimus et movemur et sumus» è l’annuncio di Paolo all’Areopago (At 17,28), e questa è anche l’invocazione della chiesa (7).

Ma la creazione è anche opera dello Spirito santo, forza operativa del Dio creatore. Quando nell’in-principio Dio creò il cielo e la terra, è attraverso lo Spirito di Dio aleggiante sulle acque (cf. Gen 1,2) e attraverso la Parola uscita dalla sua bocca che tutto venne all’esistenza, sicché il salmista può confessare: «Tu mandi il tuo Spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra» (Sal 104,30). Contro il nulla Dio spira il suo soffio, sul caos fa posare il suo Spirito, con il suo soffio feconda le acque: ed ecco il cosmo, la vita. Ed è sempre lo stesso Spirito divino che dà vita all’argilla plasmata da Dio (cf. Gen 2,7; Gb 33,4), sicché Ireneo di Lione può leggere la creazione dell’uomo come opera delle due sante mani di Dio, la Parola e lo Spirito (8).

La nostra generazione è forse la prima nella storia a essere cosciente che dalle proprie scelte dipendono la vita o la morte degli esseri, del pianeta, e questa consapevolezza purtroppo deriva da evidenze che si impongono: dall’aria viziata, dalle acque avvelenate, dal suolo mortificato e sfruttato, dal deserto che avanza. La verità è che viviamo un’errata relazione con la materia del mondo, non sapendo in essa riconoscere l’opera vivificante dello Spirito santo che ci richiederebbe un rapporto di rispetto e di amore. Le creature sono per noi un oggetto neutro di consumo, oggetti che servono a soddisfare i nostri desideri, strumenti per il nostro benessere senza limiti e senza leggi (9).

Dovremmo invece saper riconoscere che mediatore della creazione è anche lo Spirito, il quale continua ad assicurare la presenza di Dio (la Shekinà) nell’universo. Sì, anche lo Spirito di Dio ha avuto la sua kénosis nel mondo, e come il Verbo, mai inseparabilmente da lui, è venuto ad abitare in noi, nel mondo. Egli non ha reso il mondo «pan-teista» (tutto è Dio), ma è presenza divina che dà vita e porta tutte le creature verso il loro compimento, verso la loro trasfigurazione gloriosa quale presenza «pan-in-teistica» (tutto in Dio; cf. 1Cor 15,28). Per questo i cristiani diventano il tempio dello Spirito santo (cf. 1Cor 3,16; 6,19) e la Shekinà di Dio (nel suo popolo, in Cristo, nella chiesa) testimonia e rivela la vocazione del cosmo intero a diventare tempio di Dio, dimora del Regno. Di conseguenza la creazione, come testimonia Paolo, rivela e narra l’eterna potenza, la divinità, le perfezioni invisibili di Dio, e gli uomini possono contemplarle (cf. Rm 1,19-20) e perciò cercare Dio (cf. At 17,27).

Lo Spirito santo infuso dall’alto è all’opera, e grazie a lui «il deserto diventerà un giardino e il giardino sarà rigoglioso come una selva; nel giardino avrà dimora il diritto e regnerà la giustizia, ed effetto della giustizia sarà la pace» (cf. Is 32,15-17). Da sempre presente nella creazione, disceso in pienezza su Gesù, uomo nel mondo, lo Spirito effuso sulla chiesa invoca con essa, la sposa, la venuta definitiva dello Sposo (cf. Ap 22,17) perché faccia cieli nuovi e terra nuova (cf. Ap 21,1). Lo Spirito rinnova la faccia della terra, fa nuove tutte le creature, vivifica l’universo, fa risorgere i morti. Lo Spirito è la remissione dei peccati (10), portando così a compimento quell’opera di redenzione che tutta la creazione attende con impazienza gemendo e soffrendo fino a oggi le doglie del parto (cf. Rm 8,19-23). Se Gesù è l’inizio e la fine, l’Alfa e l’Omega della creazione (cf. Ap 22,13), «lo Spirito del Signore – come ci ricorda il libro della Sapienza – riempie l’universo» (Sap 1,7; cf. Sal 139,7-8; Ger 23,24, ecc.).

Questa verità cristiana è di per se stessa ragione sufficiente per una nostra attenzione, custodia e responsabilità verso la creazione.