Conférence d'Enzo Bianchi

 

3. La creazione attende la salvezza

Infine mi sembra essenziale mettere in evidenza una terza ragione cristiana riguardo all’ecologia. La creazione è stata originata dalla Parola eterna di Dio; questa Parola eterna si è fatta però carne (cf. Gv 1,14), dunque creazione stessa, in Gesù Cristo, ed è questa Parola che attraverso l’umanità di Gesù morta e risorta ha portato la salvezza: una salvezza certamente per gli uomini, ma una salvezza che riguarda tutte le creature. La co-creaturalità dell’uomo con tutte le cose e la sua qualità regale su tutta la creazione fanno sì che ci sia un legame profondo tra la salvezza dell’uomo e il cosmo. Potremmo addirittura dire che la vicenda salvifica dell’umanità condiziona la salvezza della creazione.

È Paolo che nella Lettera ai Romani (cf. 8,14-23) rivela questa connessione: «la creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio» (Rm 8,19); c’è un’attesa, una speranza contenuta in tutte le creature («sunt lacrimae rerum»: Virgilio, Eneide I,462), desiderio di salvezza, ma salvezza possibile solo se gli uomini realizzano la loro vocazione di diventare figli di Dio. Quando gli uomini saranno figli di Dio, anzi il Figlio di Dio, nel Figlio eterno Gesù Cristo, allora la creazione conoscerà essa pure la sua trasfigurazione, la sua «novità», e genererà cieli nuovi e terra nuova. Ciò avverrà se gli uomini sapranno assumere un ruolo attivo, sinergico all’opera di Dio, affinché la creazione giunga alla sua pienezza di creazione reintestata in Cristo. Proprio questo rapporto con la salvezza, con la redenzione cosmica, evidenzia la responsabilità grande e determinante dell’uomo nei confronti dell’universo intero.

Questa consapevolezza non può essere periferica, perché deriva dalla fede nel mistero pasquale: nella morte e resurrezione di Gesù si è compiuta l’opera di riconciliazione dell’umanità intera con il Padre, il quale ha voluto, per mezzo del Figlio, «riconciliare a sé tutte le cose, facendo pace attraverso il sangue della sua croce» (Col 1,20). La creazione era sottomessa alla schiavitù della morte e della corruzione (cf. Rm 8,20-21), ma nell’evento pasquale è stata raggiunta dalle energie della resurrezione di Gesù Cristo. In essa una vita nuova è stata immessa, e il Cristo glorioso sta operando per realizzare il disegno di Dio: reintestare tutte le creature sotto un solo capo, Cristo (cf. Ef 1,9-10), in modo che l’universo trasfigurato diventi quel cielo e quella terra «in cui abiterà la giustizia» (2Pt 3,13). Allora ci sarà l’offerta del cosmo a Dio, e la fraternità creaturale finalmente portata a compimento permetterà l’epifania eucaristica; allora sarà intonato il «cantico nuovo», quello dell’amore e dello shalom, vita piena per i cieli nuovi e la terra nuova, dimora del Regno eterno!

Tutta la Scrittura è inquadrata tra il racconto della creazione nell’in-principio (cf. Gen 1-3) e la promessa-profezia di una nuova creazione trasfigurata nella fine dei tempi (cf. Ap 21,1), e la vita dell’umanità si svolge tra questi due poli, configurandosi come una vita investita della responsabilità affinché sia esaudita l’attesa della «creazione che geme e sospira come nelle doglie del parto» (Rm 8,22). Nell’in-principio l’uomo ha ricevuto da Dio un giardino da coltivare e da custodire, ed egli come signore e re del creato, quale vicegerente di Dio, deve renderlo spazio di vita, dimora, casa per tutte le creature nella giustizia, nella pace, nella bellezza. Ma alla fine, ci rivela l’Apocalisse, ci sarà una città buona e bella, una città in cui c’è il giardino (cf. Ap 21-22), e questo lavoro, questa costruzione, questa sapiente architettura di bellezza spetta all’uomo, il quale nell’apprestare tutto per essere da Dio salvato, collaborerà alla salvezza di tutta la creazione.

Quante volte i profeti hanno cercato di annunciare questo futuro della creazione, con le immagini dell’agnello e del lupo che pascolano insieme, del lattante e della serpe che insieme giocano, del deserto fiorito (cf. Os 2,20; Is 11,6-8; 32,15-17, ecc.)! Immagini certamente poetiche, pastorali, ma che vogliono destare negli uomini un’attrazione non per ciò che è perduto, ma per ciò che sta davanti come una vocazione e una promessa. Queste immagini giunte fino a noi non intendono inculcare una nostalgia per culture non più attuali o chiedere una conservazione verginale della natura: questa non è un patrimonio originale inviolabile e immacolato, e occorre vigilare più che mai perché non finisca per essere divinizzata o sacralizzata quale «Gaia», divina madre vergine e immacolata che chiede di essere preservata da ogni intervento umano.
Nello stesso tempo occorre vigilare per non incorrere in un altro pericolo. Nella crisi di rapporto tra l’uomo e l’alterità della creazione – perché l’uomo oggi non sa rispettare l’alterità, neanche quella di ciò che non è umano, e tende ad assorbire in se stesso tutto ciò che gli sta di fronte – appare la tentazione pagana alternativa: assorbire l’uomo nella natura. Ebbene, il cristiano è stato liberato per sempre dal timore e dall’angoscia degli elementi naturali, così come dalla loro potenza e seduzione, perché egli sa di essere stato investito da Dio di una responsabilità creativa ispirata dalla benedizione di Dio stesso sulle creature, dalla loro vocazione sabbatica, dall’unità che egli deve fare tra culto a Dio e cultura della terra, custodendo e coltivando il giardino e nominando il mondo coram Deo.

Sì, l’escatologia potenzia la responsabilità umana verso la creazione, perché confessa l’universalità della salvezza, la sua dimensione cosmica, il ruolo necessario della materia nell’opera di santificazione.