Conférence d'Enzo Bianchi

 

2. La creazione: comunità di co-creature

Un’altra ragione cristiana per la salvaguardia e la custodia del creato ci viene dalla visione biblica della creazione come comunità di co-creature. Secondo la Scrittura il cielo, la terra e le creature tutte non sono entità immobili e fisse, perché le creature stanno nel tempo e nello spazio. La creazione dà inizio al tempo e termina con il settimo giorno, giorno di riposo per tutto l’universo, sicché tutte le creature sono nel tempo, nella storia: non sono solo uno scenario in cui è collocato l’uomo, perché l’uomo, gli animali, i vegetali, le cose tutte sono immersi nella temporalità. E tutte le cose sono state create da Dio con la Parola, tutte volute dalla benevolenza di Dio, tutte ordinate dalla sua sapienza, tutte dichiarate belle e buone (tov: Gen 1,4.10.12, ecc.; tov me’od: Gen 1,31) (11).

Proprio per significare la relazione nativa che esiste tra la terra e l’uomo, che pure nel libro della Genesi è posto all’apice della creazione, sta scritto che Dio ha plasmato l’uomo, l’adam, a partire dall’adamà, dalla terra (cf. Gen 2,7). L’uomo è il terrestre perché tratto dalla terra! La terra è in qualche modo, se non madre, almeno matrice dell’uomo, e questa origine l’uomo non potrà mai dimenticarla, anche perché alla terra tornerà (cf. Gen 3,19). La terra è creatura di Dio e l’uomo è creatura tratta dalla terra, co-creatura con la terra: come dice letteralmente Gen 2,7, «Dio plasmò l’uomo (che è) polvere del suolo». Dio ha creato liberamente l’uomo, senza il consenso della terra, tuttavia la terra è matrice dell’uomo!

Ma anche gli animali sono plasmati dal suolo, dall’adamà, come l’uomo (cf. Gen 2,19) esubito portati all’uomo perché egli dia loro un nome. Gli animali non sono in grado di costituire un faccia a faccia per l’umano, e tuttavia sono destinatari di una relazione con l’uomo che li abilita a ricevere un nome, cioè a essere soggetti, compagni, ausiliari per l’uomo (12). Gli animali non saranno sufficienti per l’uomo, che solo nella dualità intrinseca maschio-femmina troverà il suo pieno sviluppo, eppure sono già un aiuto per lui, perché ricevendo il nome ricevono la forma della relazione con l’uomo, ricevono un «volto» nella molteplicità dei viventi. Donando un nome all’animale, l’uomo entra in relazione e in dialogo con lui, lo riconosce come un essere vivente di fronte a sé: per essere se stesso e per avere una vita veramente umana, l’uomo ha bisogno di una «comunità» (non è lui, ma Dio che lo constata: cf. Gen 2,18) e questa comunità comprende anche gli animali. C’è dunque co-creaturalità tra uomini e animali, tutti creati dalla terra, tutti destinati a vivere insieme (cf. Gen 2,7.19), a dividere lo stesso spazio terrestre, e a morire insieme dopo una vita piena di relazioni. Uno stesso destino infatti legherà uomini e animali, i quali – dice Qohelet – avranno la medesima sorte: «Chi sa se il soffio vitale dell’uomo salga in alto e se quello della bestia scenda in basso nella terra?» (Qo 3,21).

Ma, come già si accennava, la co-creaturalità come comunione è completa solo con la creazione della dualità, dell’alterità: così è creata la donna, che la Scrittura dice tratta dall’uomo, per affermare l’uguaglianza con lui (la donna non sta tra gli animali!), ma che è anche diversa, «altra» da lui, in modo che sia possibile il faccia a faccia, la relazione, la comunione. L’uomo e la donna sono co-creature per volere di Dio, chiamate a diventare una sola carne (cf. Gen 2,24), e questa relazione tra maschio e femmina dovrà prevalere sulla stessa relazione familiare… In sintesi, la creazione, secondo il racconto del capitolo 2 della Genesi, è una comunità di co-creature, perché l’umano è in stretta relazione con la terra, le piante, gli animali ed è relazione in se stesso: maschio e femmina!

Ma ci sono altre indicazioni che rivelano la creazione come comunione di co-creature. Nel racconto della creazione contenuto in Genesi 1, Dio dà una benedizione agli animali del cielo e a quelli delle acque, dicendo: «Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite le acque dei mari, e gli uccelli si moltiplichino sulla terra» (Gen 1,22); ma è la stessa che dà anche agli umani (cf. Gen 1,28), mettendo così in evidenza come ci sia una solidarietà nel crescere e nell’abitare l’universo da parte di uomini e animali: Dio ha dato a entrambi di abitare l’universo, e il rapporto tra uomo e animale è innanzitutto di somiglianza, di solidarietà, di condivisione dello spazio vitale. Proprio per questo la creazione delle piante e degli animali è cosa «buona» e quella dell’uomo «molto buona», e tutte le creature sono destinate al settimo giorno, giorno nel quale trovano destino e pienezza di esistenza. L’uomo non esiste senza le altre creature, e il mondo esiste come luogo, casa dell’uomo.

È all’interno di questa comunione di co-creature che l’uomo riceve da Dio una precisa responsabilità di custodia e salvaguardia della creazione. L’uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio (cf. Gen 1,26) per essere immagine di Dio nel mondo, icona di Dio nel mondo, e dunque vicegerente di Dio nella creazione. La creazione è affidata a lui, culmine dell’opera di Dio, perché «egli domini sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra» (Gen 1,26). Anche la benedizione data da Dio esprime nuovamente questa responsabilità:

Siate fecondi e moltiplicatevi,
riempite la terra, soggiogatela,
e dominate sui pesci del mare,
sugli uccelli del cielo
e su ogni essere vivente che striscia sulla terra (Gen 1,28).

L’uomo cioè deve essere fecondo, vivere, affermare la qualità della vita e cantare la vita lottando contro la morte: non deve sparire, né ridursi, ma moltiplicarsi abitando così l’estensione della terra. Infatti riempire la terra non significa calpestarla, né moltiplicarsi senza misura, ma abitare la terra in modo che essa diventi dimora per l’uomo. Quanto al verbo «soggiogare» (kavash), è vero che è un verbo che può significare «camminare su, dominare sessualmente», ma come l’uomo e donna sono chiamati a un rapporto che non sia di soggiogamento ma di comunione, così deve avvenire anche tra l’uomo e la terra. E quanto al verbo radah, reso abitualmente con «dominare», non si dovrebbe dimenticare che indica l’azione di un re che regge il suo popolo guidandolo, governandolo in vista dello shalom, della vita piena e nella pace!

È certo comunque che questi due verbi non significano l’esercizio di un potere oppressivo, arbitrario, violento e vendicativo: non è possibile vedere in questi verbi un invito allo sfruttamento, alla distruzione della terra, perché se l’uomo è signore della creazione (cf. Sal 8), lo è come mandatario di Dio. Insomma, c’è convergenza tra questo comando e quanto è scritto nel più antico racconto della creazione, là dove si dice: «Il Signore Dio pose l’uomo in un giardino perché lo coltivasse (‘avad) e lo custodisse (shamar)» (Gen 2,15). La terra non è sua, continua ad appartenere a Dio! E si ricordi che questo comando a soggiogare la terra e dominare sugli animali è dato a un uomo che non è carnivoro, ma ha ricevuto da Dio come cibo «ogni erba, ogni seme e frutto che cresce dalla terra» (cf. Gen 1,29), dunque questo dominio non conosce l’uccisione degli animali. Gli esseri che hanno nefesh, vita con sangue, non possono servire da cibo agli uomini, perché nella volontà creatrice di Dio il cosmo vive di un rapporto basato sull’assoluto rispetto della vita.

E infine la co-creaturalità è anche rivelata ed esaltata quando nel racconto creazionale si dice che Dio creò il terrestre «maschio e femmina» (Gen 1,27): non si dice «uomo e donna». Maschio e femmina sono i termini che vengono applicati anche alle bestie, e questo indica che l’animalità non è solo esteriore all’umanità ma che è parte integrante della sua realtà individuale e collettiva. La sessualità, il desiderio di vita, il piacere che a essa è intimamente legato appartengono all’animalità, appartengono all’uomo e agli animali, e noi potremmo cogliere nel comando di Dio: «Dominate sugli animali» (cf. Gen 1,28) un comando che riguarda un’animalità da discernere, da ordinare, da affinare. Nell’essere umano c’è dell’animale che attende di essere umanizzato! Dominare sugli animali è un’azione che significa non permettere loro la violenza, così come dominare l’animalità o il peccato accovacciato alla porta del cuore umano (cf. Gen 4,7) significa vincere l’istinto violento.

Quando dunque diciamo: «Quell’uomo è una bestia!», diciamo una sottile verità che comunque denuncia la nostra co-creaturalità con gli animali anche nella sessualità e quindi nella violenza, istinti da disciplinare (13).