Sette giorni nel deserto

VISITA AI MONASTERI DEL WADI-EL-NATRUN IN EGITTO

Venerdì 21 ottobre

Il deserto di Scete (Wadi-el-Natrun) è la patria di molti padri del deserto, i cui Detti sono da sempre nutrimento per i monaci d’oriente e d’occidente, e di un padre del deserto contemporaneo a noi molto caro, Matta el Meskin, già superiore del monastero di san Macario; il suo successore dal 2013 al 2008, anba Epiphanius, aveva visitato la nostra comunità per due volte lasciandoci parole d’insegnamento molto preziose. È facile capire, dunque, perché questo viaggio sia così importante e perché noi fratelli che l’abbiamo compiuto (Marcello, Elia, Federico e Simone) siamo partiti da Bose non senza emozione. Benché ignari di copto e di arabo, siamo sin dal primo giorno a nostro agio per l’assistenza attenta e discreta di abuna Markos, che ha vissuto a Bose come fratello dal 2014 al 2017: interprete per ogni incontro, ci fornisce inoltre le traduzioni italiane che ci permettono di seguire ogni liturgia, oltre a venirci a prendere all’aeroporto del Cairo. In un’ora e mezza di viaggio arriviamo al monastero di San Macario: siamo ospitati nella struttura fortemente voluta da anba Epiphanius e inaugurata da papa Tawadros II a meno di due mesi dalla sua tragica morte, una foresteria a pochi metri dalle mura del monastero. Ad attenderci, davanti all’edificio, ritroviamo con piacere abuna Jounan, ospite della nostra comunità nello scorso luglio.

Sabato 22 ottobre

Alle 9, ci vediamo con Markos per visitare il monastero. Il primo luogo in assoluto è la biblioteca-chiesa. La visita dura pochi minuti, ma è per noi l’occasione di salutare con affetto frère Wadid. Seguono i luoghi di culto: la cappella del myron, per circa mille anni l’unico luogo in cui veniva preparato l’olio con cui vengono consacrati i vescovi della chiesa copta; la chiesa di San Macario o dei tre Macari, in cui ci soffermiamo più a lungo; seguono le cappelle custodite nell’enorme torrione in cui un tempo i monaci si rifugiavano durante le incursioni nemiche, ossia quella dei pellegrini, quella della Madre di Dio e quella dell’Arcangelo Michele, l’antico refettorio oggi non più in uso, quindi la chiesa di San Skheirun dove è custodito il corpo di san Giovanni Kolobos e quella dei 49 martiri di Scete. Infine usciamo dal monastero per recarci al cimitero più recente dove sostiamo in preghiera davanti alla tomba di anba Epiphanius, a quello più antico dove è sepolto abuna Matta e alla zona degli eremi.

Domenica 23 ottobre

Nella notte partecipiamo al mattutino e alla divina liturgia. Quando termina la liturgia, andiamo al refettorio con gli altri monaci: la domenica l’unico pasto comune della giornata è la colazione.

Nel pomeriggio abbiamo il primo confronto di questi giorni: Markos ci presenta abuna Barnabas. Lo scambio si prolunga per quasi due ore passando dalle domande iniziali, più formali – strutture, prassi – a soggetti più sostanziali: il rapporto tra vita in cella e vita comune, il rapporto con l’altro soprattutto se problematico, il significato delle crisi e della perseveranza. Il dialogo è vivace e terminiamo appena in tempo per il vespro.

Lunedì 24 ottobre

La mattina è dedicata agli altri monasteri dell’antica Scete. Il primo monastero visitato è Deir as Suriani, dove ci guida abuna Tichon: per molti secoli popolato da monaci siriaci, ospita tra le sue mura un gigantesco tamarindo che, secondo la tradizione, sarebbe il bastone di sant’Efrem di Nisibe, passato per questo monastero nei primissimi anni della sua fondazione. Davvero notevole è la chiesa, grazie anche ai lavori di restauro e recupero del patrimonio artistico fatti da esperti dell’Università di Leida. Terminata in poco tempo la visita di Suriani, ci spostiamo al vicinissimo monastero di anba Bishoy. La chiesa del monastero è inagibile a causa di lavori di restauro che costringono gli stessi monaci a dover utilizzare un’altra chiesa, moderna e subito fuori dalle mura del monastero; nondimeno, l’accoglienza è cordiale e, oltre ai mausolei di anba Sarabamoun, per cinquant’anni igumeno del monastero, e di Shenoute III (monaco di anba Bishoy prima di diventare patriarca), visitiamo il torrione, meno imponente di quello di san Macario ma notevole. La visita è guidata da abuna Stefanos e abuna Zakkarias.

Proseguiamo quindi verso il monastero di es Baramusi, Dopo una breve attesa siamo raggiunti da abuna Ioachim che ci mostra non solo la chiesa e il torrione ma anche il panificio del monastero, il cimitero, il refettorio storico e, dall’esterno, molti altri edifici. In seguito, abuna Maqar e abuna Misail ci prendono in carico e, dopo un primo scambio di informazioni, ci portano in una saletta in cui, oltre ad offrirci bevande calde, ci permettono di dialogare a lungo con uno degli anziani del monastero: abuna Isaak, ieromonaco e a lungo incaricato del discernimento iniziale nei confronti di chi voleva entrare in comunità. I criteri principali, ci dice, sono due: il rinnegamento di sé, che non deve spingersi fino all’annullamento, ma manifestarsi come la disponibilità a rinunciare al proprio punto di vista, e la tendenza alla preghiera continua. Su queste basi possono costruirsi e crescere nel corso degli anni l’amore di Dio e del prossimo.

La giornata non finisce con il vespro: seguiamo Markos nella biblioteca-chiesa, dove ci attende frère Wadid. Questa volta facciamo più che salutarci: abbiamo un confronto con lui che si prolunga per più di un’ora, in cui tocchiamo molti argomenti, dalla sua esperienza personale di copto cattolico al suo rapporto con Matta el Meskin, il suo pensiero sull’ecumenismo, la figura di anba Epiphanius da lui definito “martire del monachesimo”, ma soprattutto la vita spirituale. Wadid cita più volte 1Gv 2,28, in una versione leggermente modificata: “Figlioli, rimanete in lui ora”, sottolineando come nel rapporto con Dio ciò che conta è viverlo nell’istante presente, non nel rimpianto del passato o nei sogni ad occhi aperti circa il futuro; aggiunge che questo rapporto può crescere solo parlando con Dio nella sua stessa lingua: la Scrittura. Lo scambio è vivace, con molte domande da parte nostra, e solo l’orario avanzato ci spinge ad interromperlo, con gratitudine e la speranza di riprenderlo nei prossimi giorni.

Martedì 25 ottobre

Dopo la preghiera del mattino abbiamo a disposizione più tempo: il primo appuntamento della giornata è per le 10, per visitare il “museo” di San Macario ospitato nel torrione del monastero e curato dall’abile e solerte abuna Maqari. Alcune icone in particolare catturano la nostra attenzione, ma più in generale siamo ammirati dalla ricchezza dei materiali che testimoniano la storia lunga e vivace di una comunità presente negli stessi luoghi da più di sedici secoli.

Nel pomeriggio riusciamo ad avere, a sorpresa, un breve incontro con il priore abuna Petronius: il poco tempo è sufficiente per uno scambio significativo in cui, insieme a numerosi ricordi personali, ci parla del ruolo del lavoro nella vita del monaco e del rapporto tra memoria dell’ingresso in monastero e perseveranza.

Mercoledì 26 ottobre

La mattinata è dedicata alla visita di alcuni dei laboratori di San Macario: quello dei datteri – siamo nel pieno della raccolta – il caseificio, gli allevamenti di vacche e struzzi.

Nel pomeriggio incontriamo abuna Gubrail, monaco a San Macario dal 1974. Padre spirituale di lunga esperienza, ci indica quale compito principale di chi riceve questo incarico quello di indirizzare le persone accompagnate su una strada retta, evitando che deviino verso “destra” (l’autoesaltazione) o “sinistra” (la disperazione), agendo con amore di padre e con la giusta severità, senza mai legare a sé la persona ma volgendola verso Cristo: questo era ciò che faceva con tutti padre Matta el Meskin. Di questi, dell’atmosfera che pervadeva San Macario negli anni ’70, e della sua vocazione inaspettata abuna Gubrail ci parla a lungo, con reciproco gusto, al punto che perdiamo di vista l’orologio e dobbiamo quasi precipitarci al vespro.

La giornata non si chiude con la fine del vespro. Dopo cena, ci vediamo con Markos e cinque dei suoi confratelli più giovani per presentare la nostra comunità. Da parte macariana l’interesse è vivo; le prime domande riguardano gli aspetti formali della nostra vita – abito, orari, rapporti con gli ospiti, tempo in comune e tempo personale – ma presto si passa alle difficoltà che hanno travagliato la nostra vita negli ultimi anni e in particolare ai fratelli e alle sorelle problematici: come unire misericordia e rigore? Lo scambio va avanti a lungo, con il piacere reciproco di ritrovarci fratelli anche nelle domande più scomode, fino a salutarci con gratitudine a notte inoltrata.

Giovedì 27 ottobre

Dopo una mattinata libera, ci ritroviamo alle 16, nella cappella dell’ospitalità, per una preghiera comune con Markos e Barnabas: con ampi intervalli di silenzio, leggiamo un testo di san Macario, un passo del prologo della Regola di Benedetto e Mc 8,34-9,1 (pericope prevista a San Macario per ogni ordinazione monastica). Grati di questo momento così significativo, finiamo appena in tempo per il vespro.

Finito il vespro ci rechiamo nella biblioteca-chiesa, per un secondo incontro con frère Wadid. Il colloquio permette anche domande personali da parte nostra, a cui Wadid risponde sempre con sapienza, fermezza e mitezza. Alla fine, ci accommiatiamo da lui profondamente grati di averlo conosciuto e aver potuto parlare con lui.

Venerdì 28 ottobre

Le occupazioni legate alla partenza imminente non c’impediscono gli ultimi incontri: si trattengono con noi Jounan e Barnabas; passa anche, per un breve saluto, abuna Petronius. Poco prima delle 11, partiamo su un unico mezzo e con Markos e Jounan alla volta dell’aeroporto, grati per questi sette giorni che ci hanno arricchito più di quanto sperassimo.