Sintesi e foto del 10 settembre 2015

La seconda giornata ha focalizzato il tema che è oggetto del convegno da altri due punti di vista, quello monastico e quello antropologico-pastorale. Le quattro relazioni del mattino sono state infatti dedicate alla tradizione monastica. La prima relazione di Dimitrios Moschos (Università di Atene) ha presentato la figura di san Pacomio: è stata sottolineata la centralità del tema della misericordia nell’esperienza della Koinonia pacomiana, come emerge dalle Vite del santo e dai suoi scritti. Per Pacomio la misericordia sgorga innanzitutto dalla croce di Cristo e diventa evento comunitario: la Koinonia pacomiana, cogliendosi come prefigurazione della chiesa escatologica, ha sperimentato la misericordia attraverso il perdono reciproco, l’organizzazione dell’offerta di solidarietà e la partecipazione ai vari servizi comunitari. Anche per i padri palestinesi Barsanufio, Giovanni e Doroteo di Gaza – oggetto della seconda illuminante relazione di Alexis Torrance (University of Notre Dame, Indiana) – l’autentica misericordia ha la sua fonte in Dio ed è manifestata al mondo attraverso il Verbo incarnato: coloro che diventano fratelli del nostro “grande fratello” Gesù Cristo, i santi, arrivano a condividere la sua sete di misericordia per tutti e ne diventano i mediatori. Ma per accogliere questa misericordia che viene da Dio ed è mediata dai santi i padri di Gaza sottolineano il ruolo del pentimento e dell’umiltà. La prospettiva dell’apocatastasi, o reintegrazione universale, è secondo i padri di Gaza una falsa immagine della misericordia divina, proprio perché annulla la necessità del pentimento e dell’umiltà di cuore. Diversa e più radicale è la prospettiva di Isacco il Siro, padre siriaco del VII secolo, oggetto della conferenza di Sebastian P. Brock (Oxford): per lui è tale l’immensità dell’amore di Dio per gli uomini che la sua misericordia non solo eccede la giustizia, ma la trascende (“Dov’è, dunque, la giustizia di Dio? Dal momento che, “mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi”). L’infinito amore divino è la chiave ermeneutica per ogni giusta comprensione della questione e, in questo senso, per Isacco la salvezza ultima sarà universale, inclusiva di tutti gli esseri dotati di ragione, in nome del fatto che l’amore di Dio non può essere limitato dal peccato. Infine, l’ultima conferenza del mattino di Elena Romanenko (S. Pietroburgo) ha presentato la figura di Nil Sorskij, monaco russo alla fine del XV secolo. Per Nil la vita monastica era la più alta manifestazione della misericordia di Dio verso l’uomo caduto: il monaco che ha ricevuto questa grazia deve fare della sua vita un pentimento continuo. La studiosa si è soffermata in particolare sull’analisi di una preghiera di Nil che fa eco a un’analoga preghiera attribuita a san Efrem il Siro: il santo in modo caratteristico confessa i propri peccati dichiarandosi responsabile anche di quelli che non ha commesso. Il considerarsi responsabili di tutto e per tutti sarà un elemento che resterà costante nella spiritualità russa successiva, e di fatto Nil Sorskij è diventato un maestro di pentimento e di umiltà per i monaci russi, come s. Efrem il Siro lo è per il monachesimo universale.

Nel pomeriggio, dopo il saluto del vescovo di Biella, Gabriele Mana, e la lettura dei messaggi del segretario del Consiglio Ecumenico delle Chiese e dell’arcivecovo di Atene Hieronymos II, il teologo e psicologo Vassilios Thermos si è proposto di rispondere alla questione “perché è tanto difficile per noi uomini perdonare?” dal punto di vista dell’antropologia psicologica. Ha mostrato come il perdono da parte di chi subisce un torto sia l’unica via di salvezza per chi ha commesso il torto, una porta a lui aperta per liberarsi da se stesso e dalla propria incapacità di curarsi dell’altro. Tale perdono salvifico tuttavia è frutto di una psiche matura che in contesto ecclesiale spetta ai pastori educare.

È in questa stessa prospettiva che i due relatori successivi, Bassam Nassif (Università di Balamand) e Basilio Petrà hanno declinato il tema delle crisi matrimoniali e il problema di come conciliare l’indissolubilità e la fallibilità delle unioni coniugali, rispettivamente nelle chiese ortodosse e cattolica. I due relatori hanno focalizzato lo scarto che spesso inevitabilmente esiste tra l’ideale del matrimonio come sacramento, come mistero di “comunione eucaristica nel corpo di Cristo” e le difficoltà della vita di coppia. Entrambi hanno concluso con un invito ai pastori delle chiese a incarnare la misericordia e la cura paterna di Dio che educa alla comunione e al perdono, senza condannare ma senza perdere di vista la bellezza dell’ideale.