Fede perseverante

Foto di Joshua Brown su Unsplash
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16 aprile 2023

Gv 20,19-31 (At 2,42-47; 1Pt 1,3-9)
II Domenica di Pasqua
di Luciano Manicardi

In quel tempo 19la sera del primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». 24Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

26Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». 27Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». 28Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». 29Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». 30Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. 31Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.


Nella seconda domenica di Pasqua, la “domenica di Tommaso”, le letture presentano la comunità cristiana come frutto dell’evento pasquale, luogo di esperienza della resurrezione, spazio vivibile grazie alla fede nel Risorto. Secondo il testo degli Atti degli Apostoli (At 2,42-47) la comunità cristiana è l’insieme dei credenti. Riuniti dalla fede nel Risorto, essi testimoniano tale fede con una prassi che si caratterizza per quattro elementi che costituiscono le note fondamentali della comunità cristiana: l’insegnamento degli apostoli (predicazione, catechesi, insegnamento); la comunione (dei beni materiali e spirituali); la fractio panis (l’eucaristia); le preghiere (tanto liturgiche quanto domestiche). Secondo il vangelo (Gv 20,19-31) la Pasqua di Cristo non crea solo uno spazio nuovo - la comunità dei credenti - ma istituisce anche un tempo nuovo di memoria della resurrezione: la domenica. Il passo evangelico attesta la scansione ebdomadaria della riunione dei credenti (“otto giorni dopo”: v. 26): la domenica è tempo sacramentale nel quale il Risorto incontra la sua comunità riunita. In particolare, i cristiani sono coloro che perseverano (proskarteroûntes: At 2,42; il verbo si riferisce prevalentemente alla preghiera: At 1,14; 2,48; 6,4; Rm 12,12; Col 4,2) nelle realtà indicate come costitutive della chiesa: la vita cristiana non è l’avventura di una stagione o di un momento, ma un itinerario che, attraverso tutte le tappe della vita, copre l’intera esistenza del credente fino alla morte. Ed è soprattutto la preghiera la forza che sostiene il cammino dell’esistenza del credente e, al tempo stesso, è la difficile opera in cui occorre perseverare: la perseveranza nella preghiera sostiene la perseveranza nella vita ecclesiale e di fede. La seconda lettura ricorda che nella chiesa la vita spirituale è essenzialmente vita di fede, speranza e carità (cf. 1Pt 1,3.5.7.8) e il vangelo presenta la realtà spesso povera e misera delle comunità ecclesiali: in esse vi sono paure e chiusure, sfilacciature e defezioni, assenze e abbandoni, eppure sono il luogo dove si fa presente il Risorto.

In particolare, possiamo cogliere la fede come il tema unificante delle tre letture. Il vangelo, che presenta il passaggio alla fede dell’incredulo Tommaso, proclama la beatitudine di chi crede senza vedere (cf. Gv 20,27-29); la prima lettura parla dei membri della comunità cristiana come “coloro che avevano creduto” (At 2,44); la seconda lettura definisce i cristiani come “coloro che amano Gesù e credono in lui senza vederlo” (1Pt 1,8). Legato al tema della fede è quello della gioia, che pure attraversa le tre letture: anche la gioia è frutto della resurrezione di Cristo: gioia dei discepoli al vedere il Signore (cf. Gv 20,20); gioia dei cristiani che amano il Signore e lo seguono nella fede (cf. 1Pt 1,8-9); letizia che accompagna i credenti nella loro vita quotidiana, in particolare nella condivisione dei pasti (cf. At 2,46-47).

La seconda lettura (1Pt 1,3-9) è una preghiera, una benedizione con cui l’autore inizia la sua comunicazione di fede ai cristiani di Asia Minore. Al cuore di ciascuna delle tre strofe in cui la benedizione è ripartita (vv. 3-5; 6-7; 8-9) è presente il riferimento alla fede: vv. 5.6.8.9. E l’insieme del testo disegna il ritratto essenziale del cristiano. Il cristiano crede la resurrezione di Gesù (v. 3), nutre una salda speranza (v. 3), è capace di gioia anche nelle tribolazioni (v. 6) e ama di amore personale Gesù, il Signore (v. 8). È la relazione personale con Gesù Cristo a stabilire l’identità cristiana, non l’adempimento di precetti morali o l’appartenenza a un gruppo istituzionale di credenti. Interessanti, a questo proposito, le parole di Gérard Daucourt, pronunciate quando era vescovo di Nanterre: “Mi hanno parlato di una battezzata che si prostituisce. È una cristiana. Eppure ha dei comportamenti in contraddizione con il suo battesimo. Commette dei peccati. Talvolta entra in una chiesa per accendere una candela per sua madre e per suo figlio che, in seguito a false promesse, ha lasciato in America Latina. Pensa spesso a suo padre defunto e prega perché sia con Gesù nella vita eterna. Dice: ‘Gesù abbi pietà di me … Santa Maria, prega per me peccatrice, adesso e nell’ora della mia morte’. Spera di venirne fuori un giorno. È cristiana perché è battezzata e crede e spera in Gesù. Riconosce di aver bisogno di Lui e vuole cambiare vita. Dà al cristianesimo il suo vero volto. Dio si rivela a tutti coloro che si rivolgono a Lui e ama ogni essere umano”.

Secondo il brano evangelico, il Signore si fa presente ai discepoli la sera del giorno della resurrezione con il suo corpo ferito e con il suo soffio che dà vita: “Gesù disse ai discepoli: ‘Pace a voi’. Poi mostrò loro le mani e il costato, soffiò e disse loro: ‘Ricevete lo Spirito santo’: A chi perdonerete, saranno rimessi i peccati” (cf. Gv 20,20-22). Il corpo crocifisso e risorto è per i discepoli memoria dell’amore vissuto fino alla fine per loro e lo Spirito è memoria delle parole di Cristo che si sintetizzano nel dare pace e nell’ispirare perdono. Lo Spirito vivificante procede dal corpo del Risorto, corpo ferito, corpo segnato dall’amore vissuto e rifiutato, corpo che porta impressi i segni delle ferite dell’amore, delle ferite subite amando. E proprio questo corpo ferito può parlare alla comunità a sua volta ferita: è una comunità menomata di Giuda, colui che ha consegnato Gesù e se ne è andato (Gv 13,21-30), da cui è assente Tommaso (Gv 20,24) e in cui Pietro deve ancora riconoscere il suo rinnegamento (Gv 21,15-19). È una comunità in cui la paura la fa da padrona, una comunità chiusa, rattrappita, ripiegata su di sé, quasi ridotta a corpo paralizzato (Gv 20,19). Questa comunità che, come forse ogni comunità nella storia, è una povera comunità, che vive una comunione ferita, che ha conosciuto strappi e lacerazioni, impara dal Crocifisso Risorto che le ferite possono divenire le feritoie attraverso cui passa il dono vivificante, il dono dell’amore. Il corpo ferito e risorto di Gesù è per i discepoli memoria della storia d’amore vissuta insieme, è attualizzazione di tale storia non interrotta dalla morte, è donazione di futuro per continuare una storia di amore (Gesù dona loro lo Spirito), come lo è il pane sulla tavola eucaristica. Ma Gesù non sta parlando di riti. L’evangelo parla di mani, di fianco, di respiro, di alito. Parla di corpo perché il corpo è l’unico luogo dell’amore, dunque l’unico luogo di verità in quella particolare esperienza umana che è l’esistenza cristiana. Lo Spirito non solo non contraddice il corpo e non vi si oppone, ma procede dal corpo, procede dal corpo del Risorto. Perché la vita che lo Spirito dona è la vita sotto la signoria dell’amore. E luogo dell’amore è la vita, luogo dell’amore è la parola, cioè, luogo dell’amore è il corpo. Quale corpo? Il corpo che si dona, che si consegna, che si spoglia per donarsi come fece Gesù quando si spogliò delle sue vesti per porsi a servizio del corpo dei suoi discepoli lavando i loro piedi e significando così l’amore con cui li amava e con cui li avrebbe amati fino alla morte di croce. E anche oltre tale morte. E come la lavanda dei piedi è la res del sacramentum eucaristico, la sua traduzione esistenziale, il suo inveramento nella vita, l’eucaristia è sacramentum caritatis e sacramentum unitatis nel suo dare forma Christi all’insieme dei cristiani, nel dare loro la forma di corpo: noi che partecipiamo all’unico pane formiamo un solo corpo. L’eucaristia è rito sì, ma rito denudato dalla presenza di Cristo, un Cristo narrato dalla povertà e dall’essenzialità del pane, dalla semplicità ed essenzialità della parola. Il rito infatti tende ad accumulare, il rito veste e riveste, la vita spoglia, denuda, toglie. E l’eucaristia, centrata sulla memoria Christi, vuole denudare, essenzializzare, semplificare: è l’irrituale rito che ci ricorda che il corpo è il luogo della liturgia, la vita è il luogo del culto in Spirito e Verità. La vita che denuda e toglie, così come l’eucaristia che è memoria della povertà di Cristo, del Christus nudus, del Risorto con i segni della passione, consente l’incontro con i discepoli, con noi. Gesù incontra i discepoli là dove essi sono, non nella solennità di un rito, ma nella nudità della loro vita, nella loro paura, nella loro chiusura, e dona loro respiro e alito, capacità di trovare nuovo soffio, di dilatare il respiro paralizzato dalla paura. E per far questo il Risorto non può che presentarsi nella sua debolezza. Il Cristo di cui facciamo memoria è il Cristo spoglio, anche nella gloria di Risorto. Il Risorto non teme la propria debolezza, non teme la propria vulnerabilità, anzi mostra come trofeo i segni vittoriosi dell’amore, mostra come unica sua gloria l’amore, l’amore di cui sono sigillo indelebile le ferite ricevute. E così, il giorno della resurrezione è anche, per Giovanni, il giorno della Pentecoste: la storia del Risorto appena iniziata fa iniziare anche la storia dei credenti in lui. Con un incontro di amore che, come ogni incontro di amore, avviene nel corpo, nella comunicazione da corpo a corpo, dal corpo del Risorto al corpo spaventato e impaurito dei discepoli. Ma corpo dei discepoli che dalla paura passa alla gioia, la gioia comunitaria al vedere Gesù, il Signore mite e amante anche nella gloria della resurrezione.


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