La cena del Signore

Foto di Rodolfo Marques su Unsplash
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28 marzo 2024

Es 12,1-14 - Gv 13,1-15 – 1Cor 11,23-32
di Sabino Chialà

In quel tempo 1 prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine. 2Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, 3Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, 4si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. 5Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugamano di cui si era cinto. 6Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». 7Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». 8Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». 9Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». 10Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». 11Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri».
12Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? 13Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. 14Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. 15Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi.


Fratelli e sorelle,

con questa liturgia entriamo nella celebrazione della Pasqua. Un mistero unico - quello della passione, morte e resurrezione del Signore - che le liturgie di questi giorni ci fanno rivivere. Fare memoria ogni anno della Pasqua del Signore, perché diventi sempre più la nostra Pasqua: questo è il senso di quanto abbiamo iniziato a vivere, con questa celebrazione della Cena del Signore.

Non siamo qui per compiere dei riti, uno dopo l’altro. Ma per vivere questo tempo, attraverso i suoi vari momenti, come un unico movimento che ci introduce nel mistero del Figlio di Dio morto e risorto per noi, morto e risorto con noi, morto e risorto in noi. E di questo “noi” vogliamo fin da questa sera – e nei giorni che seguono – farci interpreti consapevoli.

Se siamo qui questa sera, infatti, non è solo per noi qui riuniti! Avrebbe poco o nessun senso! Se così fosse, saremmo solo un gruppo di esaltati, che celebrano i propri riti, più o meno esotici, come in un momento di oblio e astrazione dalla realtà, o dediti a una sorta di ars consolatoria vuota, insensata e che ogni anno che passa si rivela sempre meno efficace.

In questi giorni osiamo invece essere qui portando con noi il nostro mondo, con le sue fatiche e le sue gioie, cercando di farcene voce e orecchio, perché l’annuncio pasquale, che è destinato a tutta la creazione, sia davvero un messaggio di vita e di speranza in ogni situazione. In modo particolare per i tanti popoli che soffrono violenza e guerre. Quelle più note e quelle dimenticate.

È per questa nostra umanità – per tutti e tutte, nessuno escluso! – e per la creazione intera, che noi celebriamo e riviviamo questa Pasqua, rimettendoci in ascolto delle Scritture e spezzando il Pane offerto per noi. È per questa umanità, di cui siamo parte solidale, che vogliamo innanzitutto riascoltare la buona notizia appena proclamata.

Iniziando dalla prima lettura, tratta dal libro dell’Esodo, ci chiediamo allora: cos’ha da dire a questo nostro mondo l’invito del Signore a celebrare la Pasqua così come egli comanda al popolo che sta per essere liberato dall’Egitto? La risposta non è facile… perché in questi tempi di tanto sangue versato, in varie parti del mondo, forse facciamo fatica ad ascoltare questo racconto come buona notizia! Anche qui si parla di sangue da spargere, per proteggersi; e di primogeniti della cui morte facciamo memoria!

Quale messaggio dunque? La via per comprendere ce la offre il versetto in cui Dio spiega quel passaggio doloroso: “Così farò giustizia di tutti gli dèi dell’Egitto” (Es 12,12). Dio interviene per mettere fine allo spargimento di sangue… quello di chi era ridotto in schiavitù dal potente di turno, dal faraone, effetto egli stesso del ragionare idolatrico, perché preda degli dèi muti e bugiardi che gli hanno preso il cuore: potere, ricchezza, delirio di onnipotenza! E così rivela la radice dell’ingiustizia e dell’oppressione – di ieri come di oggi – in quello che la Scrittura chiama idolatria.

È infatti l’idolatria la vera responsabile di ogni sangue sparso, di ogni guerra e violenza: quando un essere umano ne opprime un altro; quando un essere umano uccide, umilia o riduce in schiavitù un altro essere umano, mostra di essere egli stesso schiavo degli idoli che lo abitano. Infatti è quando ci rendiamo schiavi dei nostri idoli, che diventiamo oppressori di altri e spargitori del loro sangue. Perché l’idolo, quando si insedia nel nostro cuore, ci rende insaziabili e capaci di ogni genere di offesa e sopruso.

Pasqua – ce lo ricorda la Pasqua della prima alleanza – è dunque liberazione dall’idolatria, primo annuncio che ci raggiunge in questa celebrazione e che vogliamo rivolgere al nostro mondo. Finché saremo asserviti ai nostri idoli, cercheremo anche noi di asservire, disperatamente e dissennatamente.

Nella seconda lettura, Paolo ci invita poi a un’altra Pasqua: la memoria dell’ultima cena di Gesù con i discepoli. Ancora un pasto, nel quale il Signore Gesù ha narrato la follia del suo amore per l’umanità intera, giunta fino al dono totale di sé, reso memoriale perenne nell’eucarestia che ancora celebriamo nel suo nome.

Ma dopo aver descritto la tradizione ricevuta, l’Apostolo mette in guardia da un possibile atteggiamento che contraddice quel dono: “Ciascuno esamini se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice, perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna” (1Cor 11,28-29); quindi aggiunge che a questo mancato riconoscimento del “corpo del Signore”, sono da attribuirsi infermità e morte.

Come interpretare una tale affermazione? Riconoscere il corpo del Signore, come si evince dal contesto in cui queste parole sono pronunciate, non significa solo riconoscere che in quel pane e in quel vino vi è la realtà del corpo e sangue di Cristo, significato cui spesso riconduciamo e riduciamo queste parole. Ma significa discernere il corpo del Signore formato dalla comunità in cui e per cui l’eucaristia è celebrata: discernere il corpo del Signore di cui ogni essere vivente è parte, riconoscersi parte di un corpo che raccoglie la comunità credente e, attraverso di essa, l’umanità intera.

E dunque ogni misconoscimento di quel corpo, dell’unità di quel corpo di cui tutti siamo parte, perché tutti membra dell’unico corpo del Signore, è causa di infermità e di morte. Provoca nel nostro mondo infermità e morte! Queste realtà che ci feriscono sono effetto del non riconoscimento del corpo del Signore, presente non solo nelle specie eucaristiche, ma anche nella carne viva di fratelli e sorelle: ecco il magistero dell’altra Pasqua della nuova alleanza, vissuta da Gesù e a noi trasmessa dagli apostoli.

Due Pasque, ciascuna con il suo messaggio di liberazione, per noi e per il mondo nel quale viviamo. Due Pasque che il Signore opera: passando in mezzo al suo popolo per fare giustizia dell’idolatria; o offrendo se stesso, nel suo corpo e nel suo sangue, come estremo atto di amore in cui riconoscersi unico corpo del Signore.

Veniamo infine al testo evangelico, dove Gesù traccia la via, per sé e per i suoi: “Se io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri” (v. 14). Via per la quale è possibile combattere l’idolatria che ci tenta, ed edificare il corpo che siamo chiamati ad essere. Via per ritrovare la pace, di cui tanto abbiamo bisogno!

Questa via è raccolta in un’immagine: un uomo curvo davanti ai suoi discepoli! Quella posizione afferma che per vincere l’idolatria che sta devastando il nostro mondo e per coltivare quello spirito di fraternità che solo potrà salvarci dall’autodistruzione, non ci vogliono uomini forti e schiene dritte! È invece necessario curvarsi, lavarsi i piedi, e lavarli a tutti, Giuda compreso! Non ci sono alternative! Sì, anche a Giuda! Perché fratello anche lui, anche quando agisce da nemico. La distruzione del nemico è l’illusione di ogni guerra. Ma, appunto… una illusione! Non solo eticamente discutibile, ma anche strategicamente impossibile. Ecco perché Gesù si piega anche davanti a lui, pur sapendo: perché da Signore di tutto e di tutti, non ha alternative! E lì mostra di essere il vero Signore.

La via percorsa da Gesù e indicata a noi suoi discepoli non parla dunque di rinuncia o di resa, ma di responsabilità: “Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine” (v. 1). Gesù sa e ama… L’amore vero richiede consapevolezza, e poi richiede perseveranza: “Fino alla fine”.

Sa anche che in mezzo a quei discepoli c’è un fratello che ha il cuore occupato dal divisore: “Quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo” (v. 2). Conosce anche quella ferita: ne è consapevole e la porta, senza lasciarsene paralizzare.

Infine, è cosciente del suo intimo legame con il Padre: “Sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani, che era venuto da Dio e a Dio ritornava” (v. 3). Conosce il suo essere da Dio, custodisce la memoria della sua vocazione.

Conoscendo tutto questo, ecco il gesto, in cui Gesù raccoglie la sua esistenza intera e indica a noi la via. Un gesto meticolosamente descritto da Giovanni, perché ogni particolare è prezioso: il suo alzarsi, con cui Gesù esprime la sua determinazione ad agire in quel modo; il suo deporre le vesti, segno di chi si presenta senza difese; il suo cingersi di un asciugatoio, segno di chi serve; il suo lavare i piedi dei discepoli, gesto con cui il Maestro esprime il suo desiderio di vita per tutti loro: desidera che vivano, che continuino a camminare con quei piedi che egli sta lavando loro, anche se lui sta per andarsene! Da vero maestro gioisce della vita dei discepoli più che della sua!

Questa è la via indicata da Gesù… Difficile da accogliere, come mostra la reazione di Pietro, che si rifiuta di acconsentire a un Maestro disarmato e curvo: “Tu non mi laverai i piedi in eterno!” (v. 8). La sua non è una reazione di rispetto: Pietro è riluttante davanti a quella logica. Ma quella è la via per la quale è possibile entrare in un vero cammino pasquale, per noi, per le nostre comunità, per il nostro mondo! Questa è la via per la quale è possibile sconfiggere l’idolatria che cerca costantemente di impadronirsi del nostro cuore e dei sistemi di questo mondo. Questa è la via per la quale è possibile crescere nella consapevolezza di essere un unico corpo, un’unica umanità.

Alla soglia di questa Pasqua che abbiamo la grazia di vivere, il Signore viene a noi per liberarci dagli idoli che ci dominano, e per farci crescere come comunione. Fa questo piegandosi ai nostri piedi, e da quella posizione, da vero Maestro che fa per primo quello che insegna, ci indica la via per la quale anche noi potremo tentare di vivere da uomini e donne pasquali.

Il gesto della lavanda dei piedi, che ora ripeteremo, sia per noi impegno ad accoglierci, a perdonarci, a cercare di fare nostro il sentire di Cristo, perché la sua Pasqua diventi anche la nostra Pasqua; e sia Pasqua per questo nostro mondo.


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