Che cosa vedete?
14 dicembre 2025
III Domenica di Avvento
Matteo 11,2-11 (Is 35,1-6a.8a.10 – Gc 5,7-10)
di fratel Guido Dotti
In quel tempo, 2Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò 3a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». 4Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: 5i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. 6E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».
7Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? 8Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! 9Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. 10Egli è colui del quale sta scritto:
Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero,
davanti a te egli preparerà la tua via.
11In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».
La III domenica di Avvento ci presenta nuovamente la figura di Giovanni Battista, non più in maniera diretta – attraverso la sua predicazione nel deserto – bensì in un doppio dialogo serrato, dapprima tra i discepoli del Battista e Gesù e poi tra Gesù e i propri discepoli. Ai primi Gesù parla di sé come del Messia attraverso parole e gesti, mentre alle folle che lo ascoltano parla di Giovanni come del Precursore, colui che apre la strada al Veniente (cf. Mt 11,10). In realtà è sempre a noi che parla Gesù, a noi discepoli incapaci di riconoscere il Cristo in Gesù, a noi, folle incapaci di riconoscere Elia in Giovanni.
I discepoli di Giovanni arrivano da Gesù con un interrogativo – “Sei tu il Veniente o dobbiamo attenderne un altro?” (v. 3) – e ripartono con un annuncio che li costituisce testimoni: “Andate e annunciate quel che vedete e udite” (v. 4). Questi discepoli torneranno in seguito da Gesù con un annuncio e non più con una domanda: “I discepoli di Giovanni andarono a prenderne il cadavere, lo seppellirono e andarono ad annunciarlo a Gesù” (Mt 14,12). La “diminuzione” fisica di Giovanni – dal deserto, al carcere, al sepolcro – sarà così completata; la sua dimensione di “voce che grida” invece non verrà meno perché indissolubilmente legata alla Parola fatta carne. Impossibile ancora oggi capire la Parola senza udire la Voce, impossibile riconoscere il Veniente senza il dito che lo indica, impossibile credere al Vangelo di Gesù Cristo senza convertirsi alla predicazione del Battista!
Ma Gesù risponde davvero all’interrogativo dei discepoli di Giovanni sulla propria qualità di Veniente? I segni della pienezza dei tempi messianici annunciati dai profeti ci sono tutti: all’essere umano è ridata la pienezza della salute, dello shalom, della vita ed è così restituito alla sua integrità creazionale, è ricondotto a essere come Dio lo ha pensato e amato. La pericope dell’Antico Testamento, ritagliata dall’inizio del capitolo 35 di Isaia (1-6a.8a.10), contiene una serie di annotazioni che la ricollegano al Battista e al dialogo tra i suoi discepoli e Gesù. All’invito alla gioia rivolto al deserto e alla terra arida – luogo in cui il Battista si è ritirato per farvi risuonare la sua predicazione profetica – fa seguito l’annuncio di miracoli che risanano ciechi, sordi, zoppi e muti. E nel brano evangelico abbiamo una serie di verbi che indicano proprio ascolto, vista, udito, cammino, parola, tutte azioni che superano tutte le disabilità enumerate: Giovanni ha sentito parlare di Gesù e manda a lui i discepoli; questi si presentano a Gesù e gli chiedono se è lui che deve venire; Gesù chiede loro di ripercorrere a ritroso il cammino per riferire verbalmente quello che odono e vedono, cioè la realizzazione esplicita della profezia di Isaia che culmina con l’annuncio del Vangelo ai poveri. Ma poi la stessa dinamica prosegue con i discepoli di Gesù, a loro volta interrogati sull’essersi messi in cammino per andare a vedere qualcuno nel deserto: un vedere che richiede occhi sanati e resi capaci di discernere in una canna sbattuta dal vento il messaggero inviato innanzi per preparare una strada.
Anche per noi oggi permane la possibilità di avere occhi e non vedere, di essere scandalizzati da Gesù, di trovare in lui un’occasione di inciampo. D’altronde dove udiamo e vediamo oggi quei segni miracolosi che hanno udito e visto i discepoli del Battista e quelli di Gesù? Dove vediamo guarigioni di ciechi, sordi, zoppi, lebbrosi? Avremmo la possibilità di discernere il vertice di quei miracoli – che non sono i morti che risuscitano, bensì la buona notizia annunciata ai poveri – se solo ci facessimo prossimo dei poveri, se soltanto non distogliessimo da loro lo sguardo e il cuore. La risposta che Gesù dà ai suoi interlocutori e a noi suoi discepoli oggi è quindi compimento e attesa, è “già e non ancora”: “Sono io il Veniente eppure dovete attendermi ancora, sono venuto eppure dovete attendere un’altra venuta”.
Allora, in questa attesa che il tempo dell’Avvento ci esorta a vivere, abbiamo ancora bisogno del Battista, della sua voce, del suo non scandalizzarsi, dei preparativi da lui messi in atto. Per questo Gesù istruisce i suoi discepoli su Giovanni Battista: avranno, avremo sempre bisogno di capirne la profezia. Non aveva forse appena detto Gesù: “Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli”? (Mt 10,32). E Gesù rende testimonianza a colui che gli ha reso testimonianza.
È una testimonianza di cui non possiamo fare a meno, non solo nel tempo dell’Avvento, ma nell’intero tempo della Chiesa: un tempo attraversato da dubbi, contraddizioni, perplessità, dal venir meno della fede, dall’immiserirsi della speranza, dal raffreddarsi della carità. Eppure, un tempo di benedizione, un tempo propizio per la conversione. Allora chi abita l’attesa di tutto il nostro essere? Una voce che parla al nostro cuore di un altro, più grande, che ci narra di un nato di donna che apre per noi la possibilità di rinascere dall’alto.
Christian Boltanski
Animitas (Cile), 2014
Proiezione video (13 ore e 16 secondi), fiori, fieno, 1 panchina
Christian Boltanski ha posizionato più di 800 piccole campanelle nel deserto del Cile. Cosa siete andati a vedere nel deserto, chiede Gesù nel vangelo di questa domenica, una canna sbattuta dal vento? In questo deserto riusuonano delle campanelle che raccontano una vita e una storia. La storia che viene raccontata è quella dello stesso artista poiché le campanelle sono posizionate come la mappa delle stelle la sera della sua nascita. Il cielo quindi scende sulla terra e diventa un suono. L’invito è quello a saper scorgere nelle nostre vite quel suono che viene dal cielo, quel passaggio del vento che fa risuonare una melodia dentro di noi.
Per raccontare questo lavoro Boltanski ha realizzato un video di 13 ore dall’alba al tramonto, metafora del ciclo di ogni vita.