Lavori del 30 maggio 2019

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Monastero di Bose
Ufficio Nazionale per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto – Cei
Consiglio Nazionale Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori

XVII CONVEGNO LITURGICO INTERNAZIONALE
L'ALTARE

Recenti acquisizioni, nuove problematiche

BOSE, 30 maggio - 1 giugno 2019


Oggi «siamo in grado di tentare una lettura dell’altare più “evangelica”, più conforme all’annuncio della buona notizia fatta da Gesù Cristo» ha detto Enzo Bianchi nell'aprire il XVII convegno liturgico internazionale di Bose, che riprende il tema “altare” già trattato nel secondo Convegno del 2003. Approfondire l'argomento è necessario poiché «sull’altare permane un accumulo di significati “inventati” nelle diverse epoche che impedisce di cogliere la sua specificità cristiana». Enzo Bianchi ha rivolto il suo saluto ai tanti ospiti presenti:tra questi Mons. Tommaso Valentinetti arcivescovo di Penscara Penne e l'arcivescovo metropolita di Vercelli, Mons. Marco Arnolfo. Quest'ultimo ha evidenziato come «il primo gesto liturgico nell'iniziare la celebrazione sia il bacio all'altare», che così apre il rapporto con tutto il corpo di Cristo, che è comunità.A testimoniare il valore ecumenico dell'incontro, l'archimandrita Athenagoras del Patriarcato Ecumenico ha riferito come le Chiese ortodosse abbiano bensì differenze tra loro e con la Chiesa cattolica, ma per tutte «risalta la centralità dell'altare come santa mensa». È stato letto di S. Em. Card. Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, il «beneaugurante saluto» inviato da papa Francesco, auspicando che dall'incontro emerga sempre più radicata «la comprensione della liturgia come fonte di vita», e Mons. Angelo Lameri ha portato il saluto di Mons. Stefano Russo, Segretario Generale della CEI, che ha ricordato come questo incontro si pone come «giro di boa» nel riaffermare la centralità del mistero eucaristico.

Don Valerio Pennasso, Direttore dell'Ufficio Nazionale Beni Culturali Ecclesiastici e Edilizia di Culto ha riferito che tanti «si interrogano su come adeguare le chiese»: ma prima che sul “come” l'accento va posto sul “perché”. Un gesto colpisce: «l'unzione col crisma che compie il vescovo alla consacrazione: lavorando quasi a dar forma a quell'altare. Un gesto unico e irripetibile. Parlare di altare è parlare di stile di partecipazione alla comunità che è corpo di Cristo». L'Arch. Giuseppe Cappochin, Presidente del Consiglio Nazionale Architetti P.P.C. ha spiegato come anche tra gli architetti nascano esperienze di comunità: per esempio l'anno scorso la “città” è stata messa a tema e sono state coinvolte scolaresche per raccogliere indicazioni su come migliorare lo spazio pubblico.

Martin Ebner, dell'Università Friedrich Wilhelms di Bonn ha svolto una relazione sull'evoluzione dell'altare nei primi secoli: «Dell'altare non si parla nel Nuovo testamento se non per una singola citazione. Mentre in tanti luoghi del Vecchio testamento se ne parla, quale luogo per il sacrificio». Nella tradizione greca si sacrificavano animali, poi bruciati perché il fumo salisse al cielo, a «uso della divinità». La biblica descrizione del tempio di Gerusalemme riprende la tipologia degli altari pagani diffusi nell'area mediterranea in cui il sacrificio era praticato dal sacerdote a questo delegato: in questo il cristianesimo si distingue per la dimensione comunitaria del rito e per il fatto che il sacerdote è visto come parte della comunità e coi fedeli partecipa a celebrare la memoria dell'Ultima cena: e attorno a tavoli di legno, in forma di simposio.

Le Professoresse Manuela Gianandrea dell'Università La Sapienza di Roma e Elisabetta Scirocco, del Max-Planck Institut für Kunstgeschichte di Roma, hanno riassunto le più recenti attestazioni archeologiche su nascita ed evoluzione dell'altare cristiano, in particolare in Roma. Dov'era il centro delle basiliche paleocristiane? «In San Pietro o in San Paolo nel trópaion e, dunque, nel corpo degli Apostoli; in Santa Croce in Gerusalemme nella reliquia della vera croce e solo nella basilica lateranense forse nell’altare». L'esigenza di far coincidere luogo dell'altare e reliquia sembra compiersi solo nel VI secolo, in esempi quali quello di San Pietro o San Lorenzo. In San Piero si svilupperà anche la tendenza all'erezione di altari laterali come luogo di sepoltura dei pontefici: nascono così poli liturgici secondari che frammentano lo spazio della chiesa. Mentre l'altare maggiore tende riaffermare la propria preminenza attraverso una crescente monumentalità collegata ad apparati volti a segnare la distanza tra popolo e sepolture dei martiri, che attiravano il concorso esuberante di folle – e la riaffermerà sempre di più nel tempo.

«Nel parlare di architettura e arti per la liturgia, sottolineo la rilevanza della preposizione: per» ha detto l'Arch. Gabriele Orlando, direttore del Master in Architettura per la liturgia del Pontificio Istituto Sant'Anselmo, nell'aprire i lavori: «Ogni espressione artistica ha un propria finalità nel comporre lo spazio liturgico, così come l'esercizio della liturgia ha bisogno di spazi dedicati: v'è reciproca influenza». E questo è vero nella storia, come ha dimostrato il Prof. Gianmario Guidarelli dell'Università degli Studi di Padova trattando il tema “Organizzazione degli spazi liturgici tra XIV e XVI secolo”. «Il Rinascimento è stato un periodo denso di sperimentazioni» ha esordito questi «nel corso del quale è cresciuto il ruolo dei privati nella costruzione delle chiese». Il che si è tradotto in un'accentuazione della monumentalità volta a celebrare personaggi di potere, in particolare attraverso la committenza di strutture funerarie entro le chiese, e attraverso la proliferazione di opere artistiche e ornamentali. Queste ultime a loro volta, dopo la Riforma protestante, si sono tradotte negli apparati necessari per riaffermare la vera presenza del Corpo di Cristo. E quindi «nella promozione della prospettiva focalizzata sul tabernacolo posto sull'altare maggiore». Il coro dei frati è stato spostato – v. la basilica superiore di Assisi – nell'abside riprendendo lo schema paleocristiano mentre l'altare veniva posto sulla corda dell'abside stessa. Spesso le pale d'altare erano intese come momento di riconfigurazione dello spazio, a confermarne il punto di fuga centrale entro figurazioni che ne completavano il disegno architettonico (v. S. Maria dei Frari a Venezia). Il sommarsi di altre presenze quali tramezzi, pontili, archi trionfali, pergule ha contribuito bensì a evidenziare illuogo dell'altare ma anche a demarcare la distanza tra questo e le navata: tra presbiteri e popolo.

Il Prof. Dominik Jurczak, del Pontificio Istituto Liturgico S. Anselmo ha concluso la prima giornata del Convegno con una relazione su “Eredità del barocco e esigenze della liturgia oggi”. Egli ha volto lo sguardo verso il Motu Proprio “Summorum Pontificum” promulgato da Benedetto XVI nel 2007, con l'intento di giungere a una riconciliazione con coloro che desiderano praticare il rito secondo il Messale Romano del 1962, cioè nelle modalità vigenti dal Concilio tridentino. Con tale documento si consente l'esercizio del rito tridentino in via straordinaria senza bisogno di ottenere permessi ad hoc. Il problema verte sul tema della participatio actuosa, del popolo tutto chiamato quale corpo mistico a essere parte attiva nella celebrazione. E a corollario di questo riguarda la collocazione dell'altare: quelli barocchi addossati non consentivano di girarvi attorno come è richiesto dalla Sacrosanctum Concilium. Ma il rischio implicito in questa sistemazione postconciliare, dell'altare è che il presidente rivolgendosi “versus populum” divenga protagonista dell'azione, in questo sminuendo il ruolo dell'altare stesso. Il che resta favorito laddove gli adeguamenti liturgici sono compiuti ponendo nuovi altari la cui presenza resta sbiadita dalla predominanza del fasto del vecchio altare barocco. Sta all'ispirazione di artisti e architetti riuscire a immaginare nuovi altari capaci di porsi come luogo di centralità, pur in presenza dei vecchi altari barocchi.