Gesù cammina con i discepoli nella regione pagana di Tiro e Sidone. Una donna cananea va loro incontro gridando (Mt 15,21-28). Chiede aiuto per la figlia malata. Nessun ascolto! C’è una donna che implora per la figlia che soffre, e c’è un gruppo di maschi che procede insensibile, al massimo infastidito da una che intralcia il passo gettandosi ai loro piedi. È una scena violenta. Siamo nella terra del dolore che colpisce in maniera indistinta tutti gli esseri umani, ebrei e pagani, uomini e donne, e che non conosce confini né barriere. Eppure il maestro non si lascia toccare. Anzi ne fa un motivo per ribadire il senso della sua missione riservata solo alle pecore perdute di Israele e per discettare della sua teologia dell'elezione di Israele che giustifica il rifiuto di lei.
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Gesù sta camminando, quando si getta ai suoi piedi una persona lebbrosa che lo costringe a fermarsi ( cf.Mc 1,40-45). Nella Scrittura (cf. Lv 13-14; Nm 5,1-3) la persona affetta da una malattia della pelle deve stare fuori dall’abitato, perché è pericolosa. Alla malattia si associa uno stigma religioso: è segno del castigo divino (cf. Nm 12,12). È ritenuta impura; toccare consapevolmente una tale persona è peccato (cf. Lv 5,3).
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Qual è la prima tappa del viaggio? Un luogo “pericoloso”: il deserto. Qui sulla soglia dell’attività da predicatore itinerante chi incontra Gesù? Se stesso. Per la prima volta diventa consapevole di essere altro ed estraneo rispetto a sé. Si scopre “altro”. Ascolta gli “altri” presenti in lui. Vede le contraddizioni e i conflitti che lo abitano. Il luogo “pericoloso” è infine la propria interiorità. È il racconto delle tentazioni (cf. Mt 4,1-11; Lc 4,1-13). Gesù scopre in sé i sogni di onnipotenza e di onnidominazione, l’illusione dell’invulnerabilità, il desiderio di essere per il Padre e per gli altri esseri umani e insieme il rischio di manipolarli a proprio favore.
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