Vedere quell’unica ferita

Chi riesce a guardare nell’altro la ferita, e a riconoscere nell’altro la bellezza, è sempre un creatore di significato, un uomo che accetta il rischio di attraversare la vita come se fosse possibile trasformare l’ombra in corpo, la lettera in spirito ... Ciò che allo sguardo del mondo può apparire come il sigillo di un mistero ostile, dal quale volgere gli occhi più in fretta che si può, nella luce della carità si rivela un segno di riconoscimento, la garanzia di un’intimità fra uomini così stretta che la ferita non appartiene più a nessuno in particolare, è una condizione possibile per chiunque in ogni momento. La ferita indica così l’umanità e soprattutto la prossimità del sofferente, che è semplicemente colui che patisce quel dolore unico e indivisibile che accomuna tutti i viventi, anche coloro che non ci fanno caso (Emanuele Trevi, Musica distante, Mondadori, Milano 1997, pp. 67-72,80-83)