Viaggiare insegna il tempo come durata
A ben guardare, oggi non si viaggia più. Si viene alla lettera, catapultati da un luogo all’altro, più precisamente da un aeroporto all’altro … In una manciata di ore si è scaraventati da un punto all’altro del globo. Il viaggio è stato abolito. Esistono solo il punto di partenza e il punto di arrivo. Il tempo come sequenza segmentata di unità discrete, separate l’una dall’altra e perfettamente conteggiabili, che definisce il tempo della società industriale, ha travalicato i cancelli della fabbrica, ha investito la società nel suo complesso, ha quasi completamente espunto e fatto dimenticare il tempo come qualità vissuta, esperienza individuale, il tempo come durata. La durata è stata ridotta, contratta, annullata. Da un luogo all’altro, da una città all’altra, da un continente all’altro. Tutto questo è presentato come una conquista, un privilegio concesso dalla tecnologia più raffinata. Ma intanto la traversata, il tragitto, i giorni e le notti dello spazio intermedio, la fatica e l’attesa, il momento sorprendente dell’arrivo dopo i sacrifici sono stati aboliti, ridotti al dormiveglia di una notte in aereo. Si viene trasportati, ma il viaggio come impresa umana non c’è più (Franco Ferrarotti, Partire, tornare. Viaggiatori e pellegrini alla fine del millennio, Donzelli, Roma 1999).