Vi sono partenze senza ritorno
Se per la Grecia la vocazione umana è quella di un “ritorno” verso l’io autentico, la Bibbia in generale e la figura di Abramo in particolare propongono un’immagine molto diversa della condizione umana: quella della “partenza senza ritorno”. La vera vita è oltre il mondo conosciuto e il prezzo dell’esistenza autentica è elevato perché comporta il rischio di perdere tutto senza sapere quello che potrà essere “trovato” al termine dell’avventura. Ulisse torna a casa sua e ritrova suo padre Laerte; Abramo abbandona suo padre , se ne allontana e definitivamente. Ulisse ritrova suo figlio Telemaco; Abramo è invitato a sacrificare suo figlio. Ulisse ritorna a liberare la fedele Penelope dai pretendenti che vogliono sposarla; Abramo se ne va verso una destinazione sconosciuta con una sposa sterile, che non gli ha assicurato una discendenza. All’“odissea” di Ulisse si contrappone l’“esodo” di Abramo: “Io sono il Signore che ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei per darti in possesso questo paese” (Genesi 15,7). Ulisse trova la sua identità nel mondo del 2prprio”, mentre Abramo va a cercarla “altrove”, nell’universo dell’“altro”. Non bisogna però spingere troppo oltre la contrapposizione. Da una parte e dall’altra, in realtà, l’avventura umana è un lungo itinerario. L’importante è mettersi in cammino. Ulisse e Abramo ne hanno fatto esperienza ognuno a odo suo. Ma il fatto che Abramo parte per non tornare più, permette anche di toccare con mano la singolarità delle fede biblica, e non bisogna quindi stupirsi che tale singolarità appaia già come una delle caratteristiche principali del “padre dei credenti” (Jean-Louis Ska, Abramo e i suoi ospiti. Il patriarca e i credenti nel Dio unico, EDB, Bologna 2002).