Fedeltà nel tempo


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E’ l’atteggiamento fondamentale: i nostri gironi infatti non ci appartengono, non sono di nostra proprietà. I tempi sono di Dio e per questo nei Salmi l’orante chiede a Dio: “Fammi conoscere, Signore, la mia fine, qual è la misura dei miei giorni” (Salmo 39,5) e invoca: “Insegnaci a contare i nostri giorni, e i nostri cuori discerneranno la sapienza” (Salmo 90,12). La sapienza del credente consiste in questo saper contare i propri giorni, saperli leggere come tempo favorevole, come oggi di Dio che irrompe nel proprio oggi.
Il cristiano deve “vegliare e pregare in ogni tempo” (Luca 21,36), impegnato in una lotta antiidolatrica in cui il tempo alienato è l’idolo, il tiranno che cerca di dominare e rendere schiavo l’uomo. Per Paolo il cristiano deve cercare di usare il tempo a disposizione per operare il bene (cf. Galati 6,10), deve approfittare del tempo (cf. Colossesi 4,5) e, soprattutto, quale uomo sapiente, deve salvare, redimere, liberare, riscattare il tempo (cf. Efesini 5,16). Tutto questo perché il tempo del cristiano è tempo di lotta, di prova, di sofferenza. Anche dopo la vittoria di Cristo, dopo la sua resurrezione e la trasmissione delle energie del Risorto al cristiano, resta ancora operante l’influsso del “principe di questo mondo” (2 Lettera ai Corinzi 4,4), sicché il tempo del cristiano permane tempo di esilio, di pellegrinaggio (Cf, 1 Lettera di Pietro 1,17), in attesa della realtà escatologica in cui Dio sarà tutto in tutti (cf. 1 Lettera ai Corinzi 15,28).