Come ascoltarti?

Ti ascolto non a partire da ciò che so, che sento, che sono già, e neppure in funzione di ciò che sono già il mondo e la lingua, dunque in modo, in un certo senso, formale. Ti ascolto piuttosto come la rivelazione di una verità non ancora manifestata, la tua, e quella del mondo rivelato attraverso di te e da te. Ti do del silenzio, in cui il futuro di te – e forse di me, ma con te e non come te e senza di te – può emergere e fondarsi ... questo silenzio è spazio-tempo che ti è offerto senza riti né verità stabilite, a priori. È costituzione di un’apertura a te, all’altro che non è e non sarà mio. Questo silenzio è possibile grazie al fatto che né io né tu sono un tutto, che siamo entrambi limitati, segnati dal negativo, differenti senza gerarchia. Questo silenzio è il primo gesto dell’amo a te ... Questo silenzio è condizione di un possibile rispetto di me e dell’altro nei loro limiti. Esso suppone inoltre che il mondo già esistente, anche nella sua forma filosofica o religiosa, non sia considerato compiuto, già manifestato o già rivelato. Perché io possa tacere e ascoltare, ascoltarti, senza presupposti, senza imperativi segretamente all’opera – rivolti a te o a me – è necessario che il mondo non sia già concluso, che sia ancora aperto, che il futuro non sia determinato dal passato. Tutte queste condizioni sono indispensabili perché io ascolti realmente ... Ascoltarti richiede dunque che io mi renda disponibile, che sia ancora e sempre capace di silenzio. questo gesto, fino a un certo punto, mi libera. Ma soprattutto dà a te un luogo silenzioso in cui manifestarti, ti mette a disposizione uno spazio-tempo ancora vergine per il tuo apparire e le sue espressioni. Ti offre la possibilità di esistere, di esprimere la tua intenzione, la tua intenzionalità, senza gridare e persino senza chiedere, senza sovrastare, senza annullare, senza uccidere (Luce Irigaray, Amo a te. Verso una felicità nella storia, Bollati Boringhieri, Torino 1993, pp; 118-122).

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