Come ascoltarti?
Cominciamo di qui: come ascoltarti? Non si tratta di ascoltare un messaggio in funzione di un contenuto già codificato dalla società e dalla lingua. Certo, ciò è sempre utile. Se mi indichi l’ora del tuo arrivo o della tua chiamata, è utile che io capisca per essere presente a questo appuntamento. Se mi indichi l’ora del tuo arrivo o della tua chiamata, è utile che io capisca per essere presente a questo appuntamento. Se mi dici il luogo del nostro incontro, è necessario che io ti senta per recarmici ... Ma questa comunicazione è insufficiente per tessere alleanze e storie tra due soggetti. E neppure vi riuscirà l’espressione dell’affetto soggettivo. Infatti posso consolare il tuo dolore, ma esso non è necessariamente il frutto della tua intenzione, e non necessariamente mi aiuta nel mio divenire ... Dunque ti ascolto non è aspettare o sentire da te un’informazione o l’espressione semplice di un sentimento ... Ti ascolto è ascoltare la tua parola come unica, irriducibile, in particolare irriducibile alla mia parola, come nuova, ancora sconosciuta. È sentirla come la manifestazione di un’intenzione, di un divenire umano, spirituale ... ti ascolto come un altro trascendente a me che richiede il passaggio a una nuova dimensione. Ti ascolto: percepisco ciò che dici, vi sono attenta(o), cerco di sentirvi la tua intenzione. Questo non significa “ti capisco, ti conosco, quindi non ho bisogno di ascoltarti e posso persino prescriverti un divenire”. No, ti ascolto come colui e ciò che non conosco ancora, a partire da una libertà e una disponibilità che riservo per questo avvenimento. Ti ascolto; favorisco l’emergere di un non-avvenuto, di un divenire, di una crescita, talvolta di una nascita. “Ti ascolto” lascia spazio per il non-ancora-codificato, per il silenzio, preserva un luogo di esistenza, di iniziativa, di libera intenzionalità, di sostegno al tuo divenire.
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