Santità e bellezza


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Ha scritto Léon Bloy: "Non c'è che una tristezza, quella di non essere santi''. Ecco la santità, e la bellezza, come dono e responsabilità del cristiano. All'interno di un mondo che "è cosa bella'' – come scandisce il racconto della Genesi – l'uomo viene creato da Dio nella relazione di alterità maschio-femmina e stabilito come partner adeguato per Dio, capace di ricevere i doni del suo amore, e quest'opera creazionale viene lodata come "molto bella'' (Genesi 1,31). In un mondo chiamato alla bellezza, l'uomo, che è posto come responsabile del creato, ha la responsabilità della bellezza del mondo e della propria vita, di sé e degli altri. Se la bellezza è "una promessa di felicità'' (Stendhal), allora ogni gesto, ogni parola, ogni azione ispirata a bellezza è profezia del mondo redento, dei cieli nuovi e della terra nuova, dell'umanità riunita nella Gerusalemme celeste in una comunione senza fine. La bellezza diviene profezia della salvezza: “è la bellezza – ha scritto Dostoevskij – che salverà il mondo”. Chiamati alla santità, i cristiani sono chiamati alla bellezza, ma allora noi ci possiamo porre questo interrogativo: che ne abbiamo fatto del mandato di custodire, creare e vivere la bellezza? Si tratta infatti di una bellezza da instaurare nelle relazioni, per fare della chiesa una comunità in cui si vivano realmente rapporti fraterni, ispirati a gratuità, misericordia e perdono; in cui nessuno dica all'altro "Io non ho bisogno di te'' (1 Lettera ai Corinzi 12,21), perché ogni ferita alla comunione sfigura anche la bellezza dell'unico Corpo di Cristo.