Gesù entra a Cafarnao. Un militare, un ufficiale per l’esattezza, un centurione, gli si avvicina (Mt 8,5-13). È un mercenario a servizio di un re-fantoccio, il tetrarca di Galilea, messo lì dalla potenza coloniale romana. Il termine “centurione” non suona bene alle prime persone che ascoltano il Vangelo secondo Matteo. Hanno alle spalle la prima guerra giudaica e hanno assistito a tutta la brutalità di cui le truppe romane sono capaci. La parola ricorda quel tempo. Si crea una dissonanza: un militare di cui sanno di quale brutalità sia capace, si presenta come uno che supplica Gesù per il figlio che soffre. Non chiede la guarigione. Gli presenta la situazione e sta lì. Quasi a provocare nell’altro la compassione.
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Una persona descritta come: “essere umano in spirito impuro” (cf. Mc 5,1-20) investe Gesù. Al tempo di Gesù così si nominavano i disagi e le malattie dell’anima, i disturbi della mente e dello spirito. Li si spiegava, facendoli rientrare nella “anormalità”.
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