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Segni di comunione

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Gruppo dei partecipanti all’incontro ecumenico tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse orientali organizzato da Pro Oriente a Vienna.
Gruppo dei partecipanti all’incontro ecumenico tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse orientali organizzato da Pro Oriente a Vienna.

Lo scorso 28 novembre ho preso parte, come rappresentante ufficiale della Chiesa copta ortodossa, all’incontro della Commissione per l’incontro ecumenico tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse orientali organizzato da Pro Oriente. L’incontro si è tenuto a Vienna. Insieme a me era presente abuna Shenuda As‘ad, prete di una parrocchia copta ortodossa di Vienna. Questa commissione è stata fondata nel novembre del 2015 come piattaforma di esperti che accompagni e supporti il dialogo ufficiale tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse orientali. Inoltre, intende promuovere l’ecumenismo e lavorare per una migliore comprensione reciproca, soprattutto ma non soltanto a livello teologico, e per un mutuo arricchimento in vista dell’unità tra le Chiese. Al vaglio di questa commissione di dialogo non ufficiale vengono sottoposte questioni e sfide riguardanti l’unità. Il tema del primo incontro di questa commissione, a cui ho preso parte, è stato “Segni di comunione e comunicazione dopo la divisione”. Ovviamente, la Fondazione Pro Oriente è molto precedente e nasce nel 1964 per opera del cardinale di Vienna Franz König , con il preciso scopo di avvicinare tra loro la Chiesa cattolica e le due famiglie di Chiese ortodosse. Nel 1971 venne invitato l’allora vescovo dell’istruzione della Chiesa copta ortodossa, anba Shenuda che soltanto pochi mesi dopo sarebbe diventato patriarca. In occasione di quel primissimo incontro, anba Shenuda propose una formula cristologica come soluzione alla divisione tra cattolici e copti. Il dialogo fu foriero di grande speranze perché due anni dopo portò all’incontro con papa Paolo VI e le due Chiese trovarono un accordo sulla formula proposta da papa Shenuda. Nel 1988 questo accordo è stato ufficialmente ratificato da entrambe le Chiese.

La Chiesa copta ortodossa ha partecipato in questi anni alle varie commissioni in quanto membro della famiglia delle Chiese ortodosse orientali. Si è tentato di introdurre anche la Chiesa siriaca orientale ma il rifiuto non negoziabile da parte della Chiesa di Alessandria non ne ha permesso la partecipazione. Per molti anni la stessa Chiesa copta non ha partecipato agli incontri. Fino al 2014 quando papa Tawadros, in un incontro informale con i responsabili della Fondazione, ha proposto come oggetto del dialogo informale l’unificazione della data di Pasqua. Con grande entusiasmo i dialoghi sono ripresi. Nel 2015 abuna Shenuda As‘ad ha partecipato a nome della Chiesa copta. E quest’anno, per la prima volta dopo molto tempo, anche un vescovo, scelto espressamente da Pro Oriente, prende parte ai dialoghi.

Le Chiese presenti erano le seguenti: Chiesa cattolica, Chiesa copta ortodossa, le due ramificazioni della Chiesa armena, Chiesa siriaca ortodossa, Chiesa ortodossa etiopica tawahido, Chiesa ortodossa malankarese. Mancava la Chiesa eritrea. Tra gli osservatori permanenti mons. Gabriel Quicke e p. Frans Bowen, entrambi impegnati in vario modo nel dialogo ufficiale. A ognuno di noi è stato chiesto di presentare un testo sugli ostacoli all’unità. L’atmosfera che si respirava era straordinaria. Il clima era assolutamente amichevole, di grande rispetto reciproco. Abbiamo discusso con grande attenzione i testi presentati da ogni partecipante. I membri cattolici hanno presentato un resoconto della storia di Pro Oriente e dei passi fatti in questi anni anche nel dialogo ufficiale. Lo scopo è stato quello di avvicinare i punti di vista. Qualsiasi cosa veniva percepita come veicolo verso l’unità è stata considerata come benvenuta. Lo scopo di Pro Oriente e di tutti i partecipanti non è stato quello di sottolineare i punti di divergenza e le problematiche della tradizione dell’altro, come spesso accade nel dialogo ufficiale, ma di esaltare i punti di convergenza e la bellezza della tradizione altrui. Certo, c’è da dire che tutti i presenti erano persone ecumeniche che cercano nella loro vita quotidiana il riavvicinamento e l’unità tra le Chiesa e per questo è stato tutto pacifico e amichevole. L’esperienza di Pro Oriente mi induce a confermare la mia convinzione che alla base dell’unità non ci deve essere il dialogo per l’unità ma il desiderio di giungere all’unità. A rinsaldare la nostra amicizia hanno contribuito alcuni momenti di preghiera. Quest’anno è toccato alla Chiesa armena ortodossa guidarla.

Tra i punti che ho avuto modo di sottolineare durante l’incontro c’è che alcuni tra i responsabili del dialogo rifiutano in modo preventivo l’unità. Anche se Pro Oriente fa l’ottimo lavoro di offrire raccomandazioni per il dialogo ufficiale che vengono inviate alle Chiese, le Chiese ufficiali spesso sono su altre lunghezze d’onda e questo lavoro prezioso cade nel vuoto. Un altro punto su cui ho insistito è che è necessaria l’accoglienza dei santi delle altre tradizioni o perlomeno il loro totale rispetto. Questo punto ha messo in evidenza il fatto che quelli che per noi copti sono considerati ostacoli non lo sono per le altre Chiese, soprattutto per quella armena e per quella siriaca. In altre Chiese, la realtà dei santi comuni esiste già così come esiste già realizzata nella vita di tutti i giorni l’accoglienza eucaristica. Per esempio, se all’estero i siriaci ortodossi non hanno una propria parrocchia possono fare la comunione in una chiesa cattolica. Da noi copti ortodossi questa è una realtà ancora molto lontana. Per gli armeni anche un funerale ortodosso può essere presieduto da un prete cattolico (solitamente armeno). Ciò evidenzia il fatto che la famiglia ortodossa orientale sposa posizioni molto diverse tra loro rispetto al dialogo ecumenico perché parte da premesse e da atteggiamenti spesso molto distanti. Non siamo sinfonici su questo. Ci sono Chiese ortodosse orientali che ha fatto molti più passi in avanti sulla via dell’unità rispetto alla Chiesa copta. Attualmente, nella nostra famiglia, le due Chiese che più delle altre camminano con difficoltà verso l’unità sono quella etiopica e in secondo luogo quella egiziana. Alcuni armeni mi hanno detto chiaramente: “Noi non siamo orientali! Siamo occidentali. Abbiamo percorso strade molto diverse dalle vostre”. I problemi sorgono in quelle chiese che sono attualmente sotto il dominio islamico o che vivono in un ambiente culturale fortemente islamizzato.

Ritengo che questi dialoghi non ufficiali debbano continuare anche se la loro efficacia, per ora, sembra limitata. Si tratta pur sempre del tentativo di alcuni teologi di trovare punti di convergenza e di metterli a disposizione del dialogo ufficiale. Tra i punti che ho segnalato come ostacolo all’unità è la non conoscenza dei nostri fedeli della realtà delle altre Chiese. I nostri fedeli non sanno nulla del dialogo ecumenico, sono all’oscuro di tutto. C’è bisogno di un grande lavoro di informazione e di formazione dei fedeli. I fedeli non sanno che cosa può voler dire unificare le date delle feste. Spesso, infatti, si ha la percezione che i fedeli colleghino il calendario a questioni teologiche. Cambiare data della festa viene vissuto come uno stravolgimento dogmatico. Una visione totalmente falsata che va corretta con metodi opportuni che ora mancano del tutto. Il calendario può sembrare una questione secondaria alle Chiese, soprattutto quelle occidentali. Ma per i fedeli orientali il calendario rappresenta una questione di grande importanza. I fedeli non capiscono che differenza c’è tra una o due nature di Cristo. Capiscono, invece, che c’è unità tra noi se festeggiamo insieme. Pur tuttavia, è necessario fare anche un lavoro di tipo teologico e antropologico. Ho tentato di spiegare ai nostri fratelli occidentali quanto sia importante per noi diffondere concetti come la “divinizzazione” che sono ormai un dato pacifico in Occidente. I nostri fedeli, invece, rifiutano totalmente l’idea della divinizzazione, così come ce l’hanno tramandata i Padri della Chiesa, a causa dell’ambiente culturale fortemente islamizzato nel quale viviamo. Lavorare su questi concetti può contribuire a una apertura degli orizzonti e a una più profonda meditazione sulle sfide in corso. Bisogna, dunque, lavorare affinché ci sia una formazione più attenta dei fedeli.

Auspico, infine, che incontri del genere avvengano anche all’interno della Chiesa copta ortodossa. A Vienna ho chiesto che vengano tolti gli anatemi reciproci. Bisogna partire dalla diversità, dobbiamo considerarci diversi e non eretici. Se noi partiamo dal fatto che noi siamo eretici gli uni per gli altri giungeremo a molto poco. Se invece partiamo dal fatto che il nostro modo di vivere la fede è diverso, poi possiamo discutere e giungere a una convergenza.

Anba + Epiphanius
Monastero di San Macario
Wadi el Natrun – Egitto
per Finestra ecumenica