Lettera agli amici - numero 7

25af23a3267bef34ebf554695e28308f.jpg

Nella lettera di Pentecoste 1977 la comunità di Bose esprime una preoccupazione per gli sviluppi del post-concilio nella chiesa italiana. Su un punto in particolare viene attirata l’attenzione: «a noi pare – scrivono i fratelli e le sorelle – di essere ormai lontani da quella prospettiva di chiesa povera che in modo profetico era emersa dal Concilio». Il riferimento implicito è soprattutto al par. 8 della costituzione Lumen Gentium, là dove si afferma chiaramente che Gesù Cristo, «sussistendo nella natura di Dio…spogliò se stesso, prendendo la natura di un servo» (Fil 2,6-7) e per noi «da ricco che egli era si fece povero» (2 Cor 8,9). Per il cristiano, per tutti i cristiani la povertà è dunque un dato della rivelazione, una «condizione di salvezza».

Alla luce di questo la comunità esprime stupore per la ripresa delle trattative tra la S. Sede e lo Stato italiano al fine di rinnovare il concordato stipulato nel 1929 e recepito dalla costituzione della Repubblica all’art. 7. Dopo la battuta d’arresto seguita al referendum sul divorzio, le trattative erano state infatti riavviate nell’autunno 1976. Senza entrare nel merito di un discorso politico o giuridico, la lettera ricorda il par. 76 della costituzione Gaudium et Spes e ribadisce che la chiesa «deve abbandonare questa logica di concordato con i poteri di questo mondo».

Con la medesima radicalità essa ravvisa una contraddizione sottile, ma tanto più grave alla povertà della chiesa nell’appoggio diffuso da vari ambienti ecclesiali alla visione del noto film di successo Gesù di Nazareth di Franco Zeffirelli, che presenta un Gesù depauperato, «non più servo di IHWH, ma leader filantropo e carismatico»: le comunità cristiane confidano dunque nel potere seducente di un mass-media più che nella forza umile e debole della predicazione evangelica?

Infine nella lettera si accenna al primo convegno ecclesiale della chiesa italiana su “Evangelizzazione e promozione umana”, svoltosi a Roma dal 30 ottobre al 4 novembre 1976, rilevando con tristezza «il non spazio» dato alla Parola di Dio tra i numerosi contributi presentati, quando Essa sola «poteva illuminare il rapporto tra evangelizzazione e promozione umana».

Pentecoste 1977

Cari amici e ospiti e voi che ci seguite da lontano,
in questo tempo pasquale vogliamo con questa lettera rianimare il dialogo con voi nell'oggi, nella nostra vita che continua, tesa alla fedeltà evangelica: non siamo stanchi della nostra vocazione, né del nostro ministero né della nostra appartenenza alla chiesa e ogni giorno sale veramente il ringraziamento al Signore per tutto ciò che opera: il suo braccio è ancora teso a compiere meraviglie! il suo lavoro è sempre liberazione degli uomini. Questo scorgere nella fede i segni della sua vicinanza e della sua fedeltà non ci sottrae però alla condizione comune a tutti i credenti che sempre tentati dal Principe di questo mondo devono fargli resistenza, per restare dei testimoni del Crocifisso Risorto: ed è in questa resistenza che occorre anche esortare, ricordare, a tempo e fuori tempo (2Tm 4,2) le esigenze radicali dell'Evangelo.

Le vogliamo ricordare a noi come comunità monastica, a voi amici, a tutti credenti in Cristo, legati nella comunione delle chiese. Noi siamo preoccupati di quel che sta accadendo in questi ultimi anni, certamente dal '7O in poi, del post-concilio in Italia. A noi pare di essere ormai lontani da quella prospettiva di chiesa povera che in modo profetico era emersa dal Concilio: anzi sembra che una serie di fatti che avvengono siano la smentita di una chiesa povera, assemblea dei poveri: e non intendiamo fare i conti sui beni della chiesa od osservare i bilanci, questi tutt'al più sono effetti, conseguenze di qualcosa che viene prima che non è ascrivibile al piano morale o ascetico ma che appartiene al dato rivelativo: perché la povertà non è tanto un elemento di morale evangelica, ma prima di tutto un dato della rivelazione. Anche in questo ci pare ancora scarsa la comprensione della povertà: la si invoca da alcune parti quale condizione per evangelizzare i poveri, per introdurre nella chiesa le masse proletarie, per condividere la condizione degli oppressi, ma quasi mai emerge con forza che per il cristiano, tutti cristiani, la povertà è innanzitutto una condizione di salvezza voluta dal Padre, annunciata da Cristo, realizzabile solo con la forza dello Spirito santo. In realtà se la chiesa, se un cristiano, partecipa alla potenza, possiede ricchezze, non è un vero adoratore del Signore ma, lo voglia o no, ne sia convinto o no, è l'amministratore del Principe di questo mondo (Lc 16,13). Questi è il padrone di tutti poteri, di tutte le ricchezze e li dà a chi vuole, a chi lo adora.

L'essere "domina", signora, in questo mondo significa per la chiesa trovarsi in una posizione in cui è obbligata ad adorare il Signore di questo mondo. Per questo Gesù, per essere libero di adorare Dio solo, ha rifiutato i beni che satana gli prometteva nelle tentazioni (cfr. Lc 4,5-8).

Se noi siamo potenti, siamo ricchi, è perché siamo soggetti ad altri più ricchi e potenti di noi, cioè sotto colui nelle cui mani sono i regni di questo mondo: sotto satana, con tutte le sue exusie. La chiesa deve credere che può fare il bene senza la potenza e il denaro, altrimenti resta una falsa testimone (Atti 3,6). Ma allora perché un nuovo concordato?

Noi non riusciamo a capire! Ci sembra chiaro ed evidente che al potere politico piaccia stringere un concordato con la chiesa, sin quando essa non sia ridotta a minoranza sparuta, ma la chiesa, "che non pone la sua speranza nei privilegi offertile anzi rinunzia all'esercizio di diritti legittimamente acquisiti." (Concilio Vat. II, "Chiesa e mondo", par. 76), deve abbandonare questa logica di concordato con i poteri di questo mondo. Non è possibile ravvisare in Cristo e nella chiesa nascente nessun atteggiamento di patteggiamento con il potere di questo mondo. È vero che la chiesa ha bisogno di libertà, ma non dimentichiamo che la chiesa non può in nome di questo istituire rapporti concordatari con i poteri, perché essa non è mai tanto libera come quando il mondo l'opprime, la umilia, o almeno ne diffida.
Dove sono io, ha detto Gesù, voglio che sia anche il mio servo (Gv 12,26;17,24) e il Signore ha regnato e ha fatto i conti con i poteri sulla croce (cfr.Lc 4,12; 22,53); anche la chiesa per vocazione deve nella passione incontrare il Principe di questo mondo ed i suoi amministratori. Attualmente è costretta, anche magari sotto la innocente pretesa dell'"a fin di bene", ad essere "domina" della storia umana. Quando la chiesa stringe concordati è ancora pecora in mezzo ai lupi come l'ha voluta il Signore? (cfr. Mt 10,16).
Essa è ancora senza oro né argento come la chiesa primitiva rappresentata da Pietro (cfr. Atti 3,6; Mt 10,9)? Essa è ancora follia, contestazione delle potenze (le exusie paoline) che legano il mondo al peccato, capace di proclamare che Cristo è il suo unico Kyrios, il Signore? Noi non facciamo un discorso giuridico o politico sul fenomeno del concordato, perché questo discorso è fuori di luogo su un foglio di koinonia come questo, ma in nome dell'Evangelo chiediamo a noi e ai fratelli in Cristo di guardare alla croce, di rileggere la nostra vocazione: dal Vangelo non appare altro che una via di spogliazione, di annientamento, di kenosis fino al martirio! Ci spiace questo clima di mediocrità spirituale che si sta creando, clima in cui i cristiani sempre meno vengono chiamati alla santità, in cui il martirio quasi mai è presentato come l'ideale cristiano di perfetta sequela di Cristo (cfr. 1Pt 4,12ss.) in cui tutto obbedisce alla logica mondana della conciliazione facile, non operando il giudizio a caro prezzo tra mondo e Cristo, tra oggi e Regno, tra novità ideologiche e parola di Dio.

Questo atteggiamento non appare purtroppo solo nel tentativo concordatario ma in tutto un atteggiamento che pretende essere un "aggiornamento della chiesa per porsi al passo con i tempi". Così in nome di un neo-trionfalismo ecclesiale, più sottile di quello costantiniano e di quello medioevale, raccomanda la visione di un film capace di raggiungere i più svariati consensi proprio perché Gesù non è più servo di IHWH, ma il leader filantropo e carismatico, quasi demandando ad uno spettacolo la predicazione di un Cristo depauperato, nella convinzione che questo raggiunga ed attiri le masse.

Ma ci crediamo ancora oppure no che la predica, anche quella di un povero prete ignorante, proprio perché annuncia in ecclesia e ripete le parole del Vangelo è più efficace e più fonte di fede di un messaggio affidato a un mass-media?

Crediamo ancora che la croce resta scandalo per il mondo (1Co 1,18.23) ma che essa sia ancora valida? Crediamo ancora che la chiesa non è radunata negli stadi ma nell'umiltà di una predicazione che avviene in forza della vita nascosta con Cristo in Dio (Cal 3,3) e che i cristiani della chiesa nascente negli stadi andavano per offrire la vita, quella sì vera e gradita celebrazione?

Di fronte ad una società che si vuole vedere atea mentre in realtà è idolatrica, non ci sono crociate da fare ma c'è una vigilanza da attuare per non essere idolatri, pur professando la fede in Cristo. E questa idolatria della forza, del numero, del denaro, del privilegio, del potere, la si può sola combattere come Cristo, con la croce.

La forza della chiesa sarà sempre la santità dei suoi membri, qualità questa abscondita che mostra agli occhi del mondo la nostra piccolezza, la nostra debolezza, ma che sprigiona la forza di Dio (cfr. 1Co. 1,26 ss.).

Questo diciamo come esortazione a noi tutti non per fomentare contestazioni e divisioni in questa chiesa tanto lacerata. Ci par dunque doveroso richiedere un ritorno forte alla parola di Dio che sola ci dà la forza della metanoia. In questo senso attendevamo dal Convegno di evangelizzazione e promozione umana, e chi di noi era presente lo fece rilevare, un chiaro riconoscimento del Primato della Parola di Dio sulla vita delle chiese. Fu triste constatare il non spazio dato nel convegno alla Parola di Dio, che sola poteva illuminare il rapporto tra evangelizzazione e promozione umana, ma è ancora più triste vedere come si continua a vivere in questo tentativo di aggiornamento puntando sulla sociologia, la psicologia, l'antropologia, tutte scienze dell'umano e intorno all'umano, e non si giunga a rileggere la Parola nello Spirito, catechizzando i cristiani anzitutto con essa.

Noi chiediamo comprensione e pace tra cristiani: cessino presto le intolleranze e le intransigenze non fondate sull'Evangelo; in questo senso ci sembra doveroso assicurare la nostra comunione e la nostra preghiera a quei cristiani militanti nella sinistra i quali sono oggetto di questi giorni di calunnie ingiuste, soprattutto da parte di una certa stampa cattolica, vedono minacciata con ragioni abusive la loro comunione ecclesiale. Noi chiediamo insistentemente pace, comprensione, e per questa preghiamo in questo tempo di Pentecoste l'unico Signore della chiesa.

Vi salutiamo nella pace del Signore e a lui vi ricordiamo!

i fratelli e le sorelle di Bose