Ripercorrere la nostra vita

Se cerchiamo di attenuare parzialmente, per quanto poco, l'immagine della nostra condizione di peccatori, di rendere più amabile la nostra indegnità - se non altro ripetendo quello che diciamo di noi stessi: "Sono peccatore, come tutti", oppure: "Che altro potevo fare?" -, se cerchiamo di soffocare in noi stessi tale dolore, allora non è più possibile per noi il pentimento. Infatti è solo prendendo coscienza dell'orrore, della forza mortifera del peccato, della vergogna di non essere degni di noi stessi - per non parlare degli altri o di Dio -, che possiamo trovare la forza di sottrarci a quella schiavitù. Senza tutto questo sopportiamo molto bene la nostra condizione e non si può fare nulla che ci liberi dalle nostre catene.
Ecco la differenza che passa tra noi e i santi, dagli apostoli fino ai grandi protagonisti della fede del nostro tempo. Sappiamo come hanno vissuto. Si sono imposti di bere fino alla feccia il calice della vergogna di sé e hanno permesso che il loro cuore, la loro coscienza, la loro persona, fossero interamente trafitti dal dolore provocato dall'immagine che davano di se stessi.

A. Bloom, Ritornare a Dio, Qiqajon, Bose 2002