Il centro di ogni comunità cristiana


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In ogni gruppo umano c’è un campo di tensioni fatto di desideri e di ambizioni che s’incrociano, spesso entrano in conflitto, ma devono cercare di armonizzarsi. Nei casi migliori, queste tensioni si risolvono nella persona del leader,  che crea l’unità e l’armonia. Ogni gruppo è così strutturato gerarchicamente, guarda verso l’alto, verso la cima e si aggrappa al leader, che è emanazione e simbolo del gruppo. Evidentemente  questo vale anche, entro certi limiti, per le comunità secondo l’evangelo. E tuttavia… in una comunità secondo l’evangelo entra in gioco un’altra dinamica, perché qui la piramide è capovolta. Il centro di gravità, il punto focale, è il punto più basso, è il piccolo, il debole. Non si sta con gli occhi puntati sul leader, ma ciascuno, leader compreso, si prende cura del più debole e porta insieme agli altri il più debole. Il capo è colui che può meglio vegliare sui più deboli.

A. Louf, “{link_prodotto:id=309}”, edizioni Qiqajon, Magnano 2001

 

Ombre e luci di ogni comunità


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In un certo gruppo posso trovarmi più o meno a mio agio, più o meno nel mio elemento naturale, sentirmi più o meno accettato. Ogni gruppo ha le sue ombre e le sue luci. Ci sono anche giorni o periodi durante i quali mi sento quasi sopraffatto dagli aspetti oscuri...

La comunità cristiana, segno della misericordia di Dio


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Dove nasce la comunità cristiana non può essere che dono, segno della misericordia di Dio, anticipazione, prefigurazione e pregustazione del regno che viene, di ciò che solo più tardi può diventare realtà per tutta la chiesa...

La comunità cristiana e la polis


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Nell’edificazione della polis che li accomuna agli altri uomini, i cristiani non hanno certezze o ricette: il vangelo non fornisce formule magiche in base alle quali indicare la via che conduce infallibilmente alla realizzazione degli obiettivi di una polis...

Una comunità a servizio degli uomini


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Jean Vanier, Una comunità a servizio degli uomini
Gesù ha iniziato la sua missione chiamando a sé degli uomini e delle donne ai quali ha detto: “Lascia tutto, vieni e seguimi”. Li ha scelti, li ha amati e li ha inviati a diventare suoi amici. È così che tutto è cominciato: con una relazione personale con Gesù, una comunione con lui.
Poi, ha riunito i dodici che aveva chiamato a diventare suoi amici e ha iniziato a vivere in comunità. È chiaro che questo non è sempre stato facile. Ben presto hanno incominciato a discutere per sapere chi era il primo. La vita in comunità ha rivelato tutte le paure e le gelosie che portavano in loro.

In seguito Gesù li ha inviati per compiere un servizio, una missione: annunciare la buona novella ai poveri, guarire i malati e liberare la gente, scacciando i demoni. dopo averli tenuti solo un po’ di tempo con sé, li ha inviati in missione. Quando delle persone si trovano insieme e imparano a volersi bene, il loro amore trabocca all’esterno ... Il primo servizio di una comunità è essere fonte di vita per gli altri, cioè di dare loro una nuova speranza, un senso nuovo alla loro vita. il servizio primo nei confronti dell’altro è quello di rivelare loro la loro bellezza fondamentale, il valore e l’importanza che hanno nell’universo, la loro capacità di amare, di crescere, di fare cose belle e di incontrare Dio. È dare loro una nuova speranza e una libertà interiore più grande; è aprire le porte del loro essere perché sgorghino nuove energie; è togliere dalle loro spalle il giogo di paura e di colpevolezza che li opprime. Dare la vita agli altri significa rivelare loro che sono amati da Dio così come sono, con questo miscuglio di bene e di male, di luce e di tenebre che è in loro; significa dire loro che la pietra che soffoca la vita che è dentro di loro sarà rotolata via come la pietra che è stata fatta rotolare all’entrata della tomba di Gesù ...


il servizio, la missione vanno esercitati in primo luogo verso i membri della comunità. Inizia con loro. Dare la vita, amare è la missione generale di ogni comunità e di ogni persona, ma ogni comunità, ogni gruppo ha la sua missione particolare, il suo modo proprio di dare la vita. Una comunità diventa realmente radiosa quando tutti i membri sentono l’urgenza della loro missione. Nel mondo ci sono troppe persone senza speranza, troppe grida lasciate senza risposta, troppe persone che muoiono nella solitudine. i membri vivono realmente la comunità quando si rendono conto che non sono lì per se stessi né per la loro piccola santificazione personale, ma per accogliere il dono di dio e perché Dio venga a dissetare i loro cuori inariditi, attraverso la loro preghiera, il loro amore, il loro spirito di servizio. Una comunità è chiamata a essere luce in un mondo di tenebre, sorgente rinfrescante per la chiesa e per gli uomini. Se diventa tiepida, il mondo morirà di sete; se non porta frutto, i poveri moriranno di fame. Ma questo senso di urgenza nel servizio non vuole dire che si deve essere iperattivi, nervosi, angosciati. Non è in contraddizione con un sentimento di abbandono, di fiducia, di pace e di gioia. Prendiamo coscienza della sofferenza e del male nel mondo, ma nello stesso tempo della profondità dell’ampiezza della Buona notizia.

Alcuni vogliono stare insieme senza sapere troppo bene il perché. Vogliono soltanto stare insieme. Se gli scopi specifici o il “perché” di una vita in comunità non sono molto chiari, ben presto ci saranno conflitti e tutto crollerà. Questo implica che ogni comunità deve avere una carta o un progetto di vita che specifica chiaramente perché si vive insieme e che cosa ci si aspetta da ognuno. Bruno Bettelheim scrive: “Sono convinto che la vita comunitaria può fiorire solo se la comunità esiste per uno scopo al di fuori di essa. È possibile solo come conseguenza di un impegno profondo verso un’altra realtà al di là di quella di essere una comunità” (Jean Vanier, La comunità luogo del perdono e della festa, Jaca Book, Milano 2000, pp. 103 ss.).

La carità fraterna


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Come base e nerbo della vita comune secondo il vangelo è la carità fraterna. La comunione alla vita di Dio è la sola fonte di un amore reciproco. La forza la si trae dall’essere partecipi di un appello comune.
La vita comune è sopra ogni altra cosa il terreno dove affonda le sue radici la nostra carità...

Perché si riunisce un gruppo?


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Se dei cristiani vivono in gruppo, hanno come primo intento quello di essere tutti insieme una risposta a quella proposta di amore che il Cristo ha rivolto a tutti i cristiani: ci si riunisce insieme a vivere, spingendosi il più lontano possibile, il vero amore di  Cristo, il vero amore degli altri...

Una comunità alternativa


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C’è un aspetto di profonda verità in coloro che riscoprono la chiesa come “comunità alternativa”, a partire dall’esperienza della chiesa degli apostoli. Di fronte alla solitudine dell’uomo prigioniero dei propri idoli, la comunità dei discepoli che si vogliono bene annuncia il dono di una comunione nuova, possibile per la grazia di Dio. Come si può definire una “comunità alternativa”? È una rete di relazioni fondate sul vangelo, che si colloca in una società frammentata, dalle relazioni deboli, fiacche, prevalentemente funzionali, spesso conflittuali ... Una riflessione sulla comunità cristiana come comunità alternativa è rinata in anni recenti. Al di là delle proposte talora un po’ utopiche o a rischio di chiusura ideologica, il tema è certamente legato al progetto di Gesù per una nuova umanità: purché si intenda questo progetto in senso largo e aperto, come progetto che si realizza in molti modi analogici, che rimane sempre aperto alla creatività dello Spirito. Una comunità alternativa nel senso del vangelo non é dunque una setta né un gruppo autoreferenziale che si distacca orgogliosamente dal tessuto sociale comune, né un’alleanza di alcuni per emergere e contare. Non è perciò necessariamente e sempre visibile come gruppo compatto, perché sa accettare anche la diaspora, cioè può ritrovarsi, per diverse circostanze storiche, in “dispersione”. Ma nell’insieme ha caratteri di visibilità e in ogni caso, visibile o meno, agisce sempre come il lievito, le cui particelle operano in misterioso collegamento fra loro e si sostengono a vicenda per fare fermentare la pasta.


Nel Nuovo Testamento ci sono offerti diversi modelli di comunità alternative: quello della chiesa di Gerusalemme; descritto in Atti degli apostoli 2-5, quello vigente nelle comunità di Antiochia o Filippi o Efeso o Corinto, che comprende sia rapporti interni fra i membri di ogni comunità locale, sia ricchi scambi tra comunità diverse con forme molteplici di comunione nella preghiera, nella fede, nella carità. I testi del Nuovo Testamento ci mostrano che tali comunità non erano esenti da problemi, divisioni, tensioni, scandali: ma tutto ciò era occasione di revisione e alla fine di crescita nella fede, nel perdono e nell’amore. Comunità alternativa non significa dunque comunità perfetta o senza difetti, ma comunità che si lascia formare e correggere dall’azione dello Spirito santo per portare quelle promesse di comunione e di perdono che preludono alla Gerusalemme celeste.

Anche con tutti i suoi peccati la comunità alternativa rimane un ideale di fraternità in divenire, destinato a mostrare a una società frammentata e divisa che possono esistere legami gratuiti e sinceri, che non ci sono solo rapporti di convenienza o di interesse, che il primato di Dio significa anche l’emergere di ciò che di meglio c’è nel cuore dell’uomo e della società (Carlo Maria Martini, Ripartiamo da Dio! nn. 28-30).

Intimità e solitudine


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Una buona parte dell’energia dell’uomo si consuma nel tentativo di vivere in pienezza gli affetti. L’uomo è alla ricerca ardente dell’intimità con altri esseri. La ricerca lo spinge a desiderare relazioni umane senza alcuna barriera, una comunicazione senza restrizioni. L’intimità qui appare come un fine da raggiungere senza il quale non vi sarà felicità terrena, e la sua immagine si aureola come nessun’altra.

Ogni esame di noi stessi ci porta a constatare che ogni relazione di intimità, anche nelle coppie più unite, suppone dei limiti. al di là, ecco la solitudine umana. Chi si rifiuta a quest’ordine della natura conosce la rivolta, conseguenza del suo rifiuto.
Il consenso a questa solitudine fondamentale apre un cammino di pace e, al cristiano, permette di scoprire una dimensione sconosciuta della relazione con Dio. Consentire a questa parte di solitudine, condizione di ogni vita umana, stimola all’intimità con Colui che ci strappa alla solitudine deprimente dell’uomo di fronte a se stesso.

Dire al Cristo “Ti amo” ci spinge a manifestargli la nostra intenzione in un gesto, un atto, altrimenti la parola resta lettera morta. Per lui dobbiamo, in ogni combattimento, spezzare in noi ciò che deve essere spezzato, a rischio di esserne segnati momentaneamente nelle nostre energie vitali. L’intimità con lui colmerà le solitudini, ormai animate.

Con lui la solitudine diventerà comunione e sosterrà una fede capace di trasportare le montagne (Roger Schutz, Dinamica del provvisorio, Morcelliana, Brescia 1965, pp. 110-111)