Vivere la polis

Domenica 17 Giugno 2018

Ezio Mauro
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Domenica 17 Giugno si è tenuto il Confronto con Ezio Mauro, giornalista e direttore per 20 anni, fino al 2016, del quotidiano la Repubblica. La giornata è stata introdotta da fr. Enzo, fondatore della Comunità, che ha sottolineato come, fin dalle sue prime collaborazioni con Ezio Mauro, si sia instaurata una grande sintonia nella loro comune ricerca di prospettive per il futuro della polis. In questi anni Ezio Mauro, ha proseguito fr. Enzo, si è distinto per la sua capacità di saper guardare, raccontare e comunicare agli altri ciò che è per lui motivo di speranza ed è ormai un solido riferimento per chi vive attento all’umanesimo, per chi ricerca cammini di speranza per una convivenza più umana e più bella.

«Due fratelli all’origine dei tempi, uno pastore di greggi, l’altro lavoratore del suolo, offrono in sacrificio a Dio i primogeniti del gregge l’uno e le primizie dei campi l’altro. E visto che Dio sembra apprezzare più le offerte dell’uno che dell’altro, il lavoratore del suolo alza la mano e uccide il fratello. “Dov’è tuo fratello?” gli chiede Dio e quello risponde “Non lo so, sono forse io il custode di mio fratello?”». È iniziato così l’intervento di Ezio Mauro: raccontando la storia di questi due fratelli all’origine del tempo, la storia di Caino e Abele narrata nel libro della Genesi (Gen 4, 1-16). Sembra che oggi la domanda che Dio rivolge a Caino “Dov’è tuo fratello?” risuoni di meno nel cuore dell’uomo, sia sempre meno sentita come qualcosa che lo interpella. Eppure questa domanda è stata alla base del principio di responsabilità, quel fondamento democratico della modernità e delle istituzioni democratiche in cui viviamo, secondo il quale dobbiamo tutti rispondere delle nostre azioni, anche e soprattutto chi detiene il potere, senza dimenticare il senso del limite nel suo esercizio e non agire solamente “perché si può”, perché la posizione raggiunta lo consente.

In questi tempi di grandi ondate migratorie, come rispondiamo alla domanda che Dio rivolge a Caino? I “vadano da un’altra parte”, “prima gli italiani” riecheggiano sugli schermi e sul web, ma questo porta al grandissimo rischio di ridurre l’altro da persona a corpo. E questi corpi, che arrivano nel nostro paese con l’unica pretesa ostinata di poter vivere, sono disarmati, nudi, alle volte anche brutti, spogliati da ogni condizione giuridica (eccetto quella di clandestinità), suscitano paure recondite per la forza simbolica che hanno, per lo spazio che occupano, per quella progressiva perdita di uniformità che viviamo nelle strade, ai giardini pubblici, nelle biografie non più condivise e convergenti. Questo confuso sentimento di minaccia genera la gelosia per le “garanzie” che si hanno: gelosia per il lavoro, per il welfare… ed è cavalcato a livello politico, da quei piazzisti della paura che non risolvono le inquietudini e le paure ma le coltivano e le concimano.

È su questo tema che si gioca la grande sfida politica italiana ed europea di questi anni: il saper far fronte a due tensioni apparentemente molto diverse. Quando le donne del paese di Gorino, davanti al progetto di far arrivare 12 donne africane con i loro bambini, dissero “Non le vogliamo, qui non c’è niente neanche per noi”, la stampa e la politica dei tweet si scatenarono pro o contro quel “non le vogliamo”, dimenticandosi il resto della frase. La democrazia deve saper rispondere anche a questo, deve creare lavoro e possibilità dove “non c’è niente neanche per noi”. La democrazia è alla “prova dell’universale”: attraversata da due tensioni apparentemente opposte – rispondere al richiamo umano e insieme disperato degli uomini e donne che giungono nei nostri paesi e rispondere ai timori e alle necessità della popolazione autoctona – deve dare una risposta a entrambe o ne rimarrà squartata.

I corpi che giungono nel nostro paese ci segnalano anche quanto è faticoso condividere il concetto di libertà: una fatica inedita, che ha reso necessaria la creazione di una nuova parola per esprimerla. È così che si inizia a parlare di ego-libertà, l’egoismo della libertà. Se superassimo questo egoismo, i corpi dei migranti scoprirebbero di essere in un paese con diritti e doveri, di poter diventare cittadini rispettando le leggi, lavorando e, proprio attraverso il lavoro, di poter acquisire una coscienza politica come è stato, a suo tempo, per gli italiani nelle fabbriche.

Ci sono ulteriori controindicazioni nel ridurre l’altro a semplice corpo. Se l’altro è solo un corpo, e per di più un corpo nero, la nostra identità si riduce a quella dell’uomo bianco. Se con dei muri, più o meno metaforici, “teniamo fuori” i corpi altrui, chi rimane “dentro” è pure confinato in uno spazio chiuso e si riduce a essere solamente uomo bianco e indigeno. Ma la storia d’Italia va ben oltre tutto questo, abbiamo un patrimonio culturale, sociale e politico che corre il rischio di perdersi: siamo donne e uomini occidentali, europei, democratici, concetti che, stretti dentro quattro mura, potrebbero morire di asfissia.

La relazione di Ezio Mauro, accolta da un lunghissimo applauso, ha poi dato vita, nel pomeriggio, a un vivace dibattito, animato da numerose domande del folto pubblico presente.

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