Come è vasto il piccolo. Una spiritualità dello sguardo

Domenica 09 Ottobre 2022, ore 10:30

card. José Tolentino de Mendonça, Prefetto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione
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Il cardinale Tolentino apre la sua condivisione con una domanda: “Abbiamo mai notato la vicinanza tra preghiera e precarietà?”.

La preghiera, questa vitale coreografia associata al supplicare, “un albero di gesti” direbbe Michel de Certeau. Niente come la preghiera manifesta la nostra condizione precaria: nella preghiera noi siamo precari. La precarietà è il luogo della nostra verità, non si tratta di risolverla, ma di assumerla. E in questo si inserisce anche la domanda sulla spiritualità: in cosa consiste la spiritualità?

È un’itineranza, un nomadismo che ci lascia precari.

Una parola che non dobbiamo mai smettere di esplorare è frontiera. Gli esseri umani non solo marcano territori, non solo costruiscono muri, ma sono capaci di avere qualcuno che sta loro di fronte e che li guarda negli occhi. Frontiera: è qualcuno o qualcosa che ci sta di fronte. La nostra condizione è di vivere “tra”, in mezzo. Il cercatore di Dio ha uno sguardo che si apre, che accetta di aprirsi, che rinuncia alle certezze. Viviamo in un eccesso di immagini, di cose da guardare, ma siamo sempre più poveri di simboli. Questo indebolisce la nostra capacità di vedere e perdiamo la pedagogia della vita stessa.

Solo un cuore precario è capace di vigilare. Solo il pellegrino “vede”, solo uno sguardo senza difese coglie una presenza.

Nella preghiera i cercatori di Dio cercano di illuminare la frontiera, di provare a rispondere alla domanda: “A che punto siamo della notte? Che cosa possiamo ancora sperare?”.

Accettare anche di non sapere, accettare che per quanto cerchiamo di possedere e di conoscere, qualcosa sempre ci sfugge. Dobbiamo imparare l’arte di disimparare. Un poeta ha fatto spesso riferimento a quest’arte nei suoi componimenti, si tratta di Fernando Pessoa

“Meglio il volo dell’uccello che passa e non lascia traccia,
del passaggio dell’animale, che resta segnato per terra.
L’uccello passa ed è dimenticato, e così dev’essere.
L’animale, dove non è più, e perciò non serve a niente,
rivela di esserci stato, e ciò non serve a niente.
Il ricordo è un tradimento alla natura,
perché la natura di ieri non è natura.
Ciò che è stato non è niente, e ricordare è non vedere.
Passa uccello, passa e insegnami a passare!

Alberto Caeiro (eteronimo di Ferdinando Pessoa), Il guardiano di greggi, XLIII,1011-1912

Non serve lasciare il segno, il ricordo è un tradimento. La traccia ci trattiene impedendoci di seguire altre strade, mentre il nostro vedere deve essere “tra” le cose. Che il nostro sguardo sia “tra”, quello che ci permette di cogliere il mistero.

Nel pomeriggio lo sguardo si è spostato su alcune caratteristiche del monachesimo che il cardinale Tolentino ha illustrato agli ascoltatori utilizzando alcuni haiku contenuti nella nuova raccolta Il papavero e il monaco, Qiqajon 2022.

“Quotidianamente ripeto
scelte e imperfezioni:
la natura degli esseri in solitudine”.

La nostra scelta è sempre una scelta imperfetta, noi viviamo l’imperfezione in modo stabile. L’unica possibilità che ci salva è riconoscere le nostre imperfezioni. Nella vita monastica l’imperfezione irrompe come unico vero dono che possiamo fare a Dio.

“Il vento
apre furtivamente la porta
e il monaco neppure se ne accorge”.

Lo spirito arriva dove non sappiamo. Corriamo sempre, ma il modo in cui lo Spirito entra nelle nostre vite è qualcosa che ci sorprende. Lo Spirito è fortuito, Dio è un visitatore nascosto. La vita monastica cerca di riconoscere questo Spirito.

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