La Bibbia nella Celebrazione Liturgica

XIX Convegno Ecumenico Internazionale di spiritualità ortodossa
LA PAROLA DI DIO NELLA VITA SPIRITUALE
Bose, 7-10 settembre 2011
in collaborazione con le Chiese Ortodosse

Il Metropolita Chrysostomos di Messinia RELAZIONE DEL METROPOLITA CHRYSOSTOMOS DI MESSINIA

LA BIBBIA NELLA CELEBRAZIONE LITURGICA
 
 
 
 
 
 
 
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1. Permettetemi d’iniziare la mia relazione con un frammento dalla monumentale opera dell’indimenticabile Georges Florovsky «The Elements of Liturgy», nella quale s’illustra in modo chiaro e convincente che “il cristianesimo è una religione liturgica”. La chiesa è essenzialmente una comunità celebrante. Prima di tutto è la celebrazione, e solo in un secondo tempo l’insegnamento e l’ordinamento ecclesiastico. Alla base di questa concezione liturgica della chiesa sta la presenza nella storia di un Dio che vi si rivela, fatto che determina anche la sostanza del culto ortodosso. Il diretto ed essenziale rapporto tra la chiesa come comunità celebrante e il mistero della divina economia è garantito dal fatto che la comunità celebrante stessa dà un’interpretazione teologica tramite l’annuncio dei fatti storici della presenza e dell’azione di Dio che hanno un rapporto diretto con la sostanza e il messaggio della salvezza. Tutti questi fatti sono inscritti nella sacra Scrittura, Nuovo e Antico Testamento. Emerge così l’importanza del ruolo della Scrittura nella formulazione di quello che definiamo “culto ortodosso”, e questo si vede chiaramente non soltanto dal lessico, ma anche dalla struttura delle sacre funzioni nel loro insieme, in particolare nell’anafora eucaristica.

2. Storicamente, l’introduzione della sacra Scrittura nel culto cristiano è in gran parte dovuta all’influsso della sinagoga. Nell’ebraismo, infatti, la parte principale della liturgia era costituita da letture tratte dall’Antico Testamento. Dall’epoca del martire Giustino (ii secolo), e anche prima forse, pare che siano state introdotte nell’uso liturgico anche le cosiddette “memorie degli apostoli”, quelle che “sono chiamate vangeli”. E infine, le Costituzioni apostoliche (iv secolo) ci informano dell’esistenza di cinque letture: la prima dalla Torà, la seconda dai Profeti, la terza dalle Lettere, la quarta dagli Atti degli apostoli, la quinta dai Vangeli stessi. L’utilizzo di queste letture nella liturgia ha conosciuto un grande e multiforme sviluppo, mentre l’attuale sistema delle letture bibliche sembra abbia inizio dal vi secolo o forse prima.

Nel culto ortodosso i brani biblici utilizzati hanno un collegamento organico con tutta quanta l’adorazione e s’inscrivono organicamente in essa. Costituiscono i mezzi principali di espressione del concetto dell’anno liturgico, per il quale l’opera salvifica del Cristo vive non soltanto come attualizzata nel presente, ma come fondamento per ciò che verrà, forma futuri. Criterio di scelta e di classificazione delle letture bibliche nel contesto liturgico ed ecclesiastico è rappresentato dal ciclo delle funzioni delle domeniche dell’anno nel periodo del triodio e del pentacostario, cioè il periodo pentecostale: tutte le feste del Signore, della Madre di Dio, dei santi che s’inscrivono liturgicamente nella vita della chiesa. In seguito si è costituito un sistema di letture bibliche per circostanze di vario tipo.

3. In tutti i testi biblici la comunità cristiana coglieva l’autentica testimonianza ed espressione della rivelazione di Dio in Cristo nella storia e nel contempo la vitalità di questa rivelazione, che si conserva come esperienza vivente della comunità ecclesiale. Questa interpretazione cristologica dei testi biblici è conferma del fatto che la chiesa è il nuovo Israele e l’erede delle promesse di Dio. Inoltre, mentre fino alla metà del iv secolo i padri della chiesa, interpreti della sacra Scrittura, erano piuttosto interessati a una contrapposizione con il giudaismo, dalla seconda metà del iv secolo l’Antico Testamento viene considerato lo strumento con cui si preannuncia il Messia, e contemporaneamente viene testimoniato il Logos di Dio, attivo all’interno della storia. Si tratta proprio del Logos di Dio, quel Verbo cui fa riferimento anche il Nuovo Testamento, e che viene caratterizzato contemporaneamente “Colui che è, che era e che verrà” (Ap 1,4).

I fatti descritti, sia nell’Antico Testamento sia nel Nuovo, sono allora assunti non quali meri eventi del passato, ma come prefigurazioni di eventi futuri che, per l’appunto, hanno un particolare significato per la salvezza dei membri della comunità cristiana. Tale approccio ermeneutico, tale uso della sacra Scrittura, non s’incontra soltanto nelle annotazioni ermeneutiche dei padri della chiesa − testi discorsivi per eccellenza, che si rivolgono alla comunità cristiana e riguardano i membri della chiesa −, ma viene ribadita anche dal sermone che precede la preghiera eucaristica. L’obiettivo è che l’esito di ogni logos-parola sia la primizia dell’eucaristia per la prefigurazione e la pregustazione del regno di Dio. A questo riguardo è caratteristica l’annotazione formulata da Massimo il Confessore, sulla quale torneremo.

Secondo quel che si è detto sopra esiste un rapporto dialettico tra sacra Scrittura e culto divino, che è da un lato esistenziale – esperienziale, come esigenza della comunità cristiana di formulare l’esperienza della pregustazione del regno di Dio, e in secondo luogo eucaristico, quale evento ecclesiale. Questo conduce non soltanto a una comprensione intellettuale della sacra Scrittura, ma anche alla sua interpretazione secondo la fede e la vita della chiesa.

4. Tale concezione dialettica (esperienziale ed escatologica) della sacra Scrittura nell’ambito dell’assemblea eucaristica viene applicata dai padri della chiesa anche nel contesto del simbolismo figurativo dell’adorazione divina. Il simbolismo figurativo di cui parlo non riguarda soltanto fatti e oggetti, ma tutti quei gesti e atti liturgici compiuti da chi agisce nell’adorazione; è incentrato sulla sacra eucaristia che costituisce, com’è noto, il fulcro dell’intera vita cultuale e iniziatica della chiesa. La sacra eucaristia è un atto, una liturgia, e come liturgia costituisce un’assemblea-comunità nella quale tutti − clero e popolo, ma anche tutti gli elementi (cioè forme e gesti) − raffigurano qualcosa del futuro: i novissima, le cose ultime, con cui s’identifica la verità stessa. Per questo l’eucaristia come assemblea è immagine del regno di Dio e pregustazione di gioia e di letizia. Il significato e l’importanza della caratterizzazione dell’assemblea eucaristica come comunità sono affermati in particolare da Simeone di Tessalonica, il quale, interpretando Dionigi l’Areopagita, dice: “Per quanto riguarda la sacra liturgia, cioè l’eucaristia e la comunione che Dionigi definisce come ‘com-unione’, cioè unione di Dio con noi, santificazione, pienezza di grazia, fulgore, ripudio di ogni avversario, elargizione di ogni bene, cosa vi è mai di più diverso dall’opposizione a Dio della comunione? Questo è il mistero dei misteri, santo tra i santi, è davvero la cosa più santa tra tutte, il rito per eccellenza, è iniziazione e compimento, poiché l’unico Logos iniziatore lo ha forgiato e lo ha donato. È qui il Logos, è il rito, e ce lo ha dato per restare con noi” (Sulla divina liturgia, PG 155, 253 B-C).

Ora, è noto che le interpretazioni patristiche della Divina liturgia concepiscono l’eucaristia come assemblea, comunione, e immagine, come un atto e una liturgia che è immagine del regno di Dio. Principale rappresentante di questo approccio interpretativo è Massimo il Confessore. Parallelamente, tuttavia, esiste anche un gruppo di ermeneuti patristici che attribuiscono maggior peso alla raffigurazione storica dei fatti della vita terrena di Cristo, così come vengono citati nei Vangeli e integrati nella liturgia. Si tratta di Teodoro di Mopsuestia, Procoros di Costantinopoli, Sofronio di Gerusalemme, Ghermanòs di Costantinopoli, Teodoros di Andido e Simeone di Tessalonica citato sopra. E da questo emerge o un’adozione del simbolismo storico − cioè la ripetizione e il riferimento ai fatti dell’Antico e del Nuovo Testamento −, oppure una corrispondenza tra le realtà terrene e quelle celesti.

5. In particolare, per quanto riguarda l’interpretazione del ruolo delle letture nella Divina liturgia, particolarmente significativo è il riferimento a Sofronio e a Ghermanòs di Costantinopoli. Secondo Sofronio di Gerusalemme il Vangelo rivela la presenza di Cristo Figlio di Dio, che grazie a esso diviene sempre più visibile non per enigmi, ma chiaramente, e del quale si comprendono le parole, gli ordini, le leggi che ci ha dato, le sofferenze, il sepolcro, la resurrezione. Una medesima interpretazione la si incontra anche in Ghermanòs di Costantinopoli.

In contrapposizione con tutti gli autori sopra citati, Massimo il Confessore, adottando il punto di vista dei testi areopagitici, sulla base del quale alla lettura del Vangelo nella sacra funzione si ha una svolta, una cesura risolutiva (“Dopo [le letture dei testi sacri] escono dal recinto sacro i catecumeni, e assieme a essi anche i penitenti, restano invece coloro che sorvegliano le attività sacre e coloro che sono degni di comunione” De ecclesiastica ieararchia IV,2,1), prosegue affermando che le varie letture sacre, e in particolare la lettura del Vangelo, raffigurano il mondo e la fine del mondo. Alla fine il celebrante siede sul trono perché avvenga il giudizio con l’uscita dei catecumeni e la chiusura delle porte (Mistagogia 14); e questo perché l’adunanza eucaristica in sé, come immagine delle cose ultime, deve ricomprendere soltanto i battezzati, poiché da quel momento in poi tutto accade davanti al trono di Dio, davanti al suo Regno (I. Zizioulas). La lettura del Vangelo è il primo punto che Massimo prende in considerazione, e nella sua interpretazione assume un significato escatologico: diventa il fondamento non soltanto per l’interpretazione della sacra liturgia, ma anche per una lettura escatologica del mondo nel contesto del mistero dell’eucaristia. Per questo leggere il Vangelo equivale ad annunciarlo a tutto il creato, e solo dopo questo annuncio ci sarà la fine. Per Massimo il Confessore la lettura del Vangelo costituisce l’inizio della vera vita dei fedeli. Per questo sottolinea che il principale obiettivo della lettura è far emergere per gli operosi e i solerti il tormento per grazia di Dio, la sofferenza arrecata ai degni per amore del Logos. La lettura del Vangelo affida all’uomo il ruolo di professare il Logos di Dio e apre la prospettiva della comunione con Cristo che si è sacrificato. Con il Vangelo ha inizio il mistero eucaristico e la preparazione del fedele a questo. Quindi il fedele viene chiamato, ascoltando la parola del Vangelo, a vincolarsi alla professione di questa Parola a camminare sulla strada della croce, liberandosi da ogni ostacolo che la vita terrena gli può presentare, orientando tutta la sua vita terrena verso quella eterna.

L’altro teologo mistico, Nicolas Cabasilas, nel xiv secolo, influenzato dallo spirito scolasticheggiante dell’epoca, accosta la preghiera eucaristica al sacrificio di Cristo, sempre per la santificazione dei fedeli e per la remissione dei peccati, sì che risultino in qualche modo eredi del regno di Dio. Per giungere a questo fine, Cabasilas ritiene che anche la lettura delle Scritture vi contribuisca. In particolare le letture santificano in duplice modo. Il primo modo di santificazione è questo, per il quale traiamo giovamento dalla lettura: le letture annunciano la disponibilità e l’amore di Dio per l’uomo, la sua giustizia, il giudizio, infiammano d’amore di Dio e innestano in cuore una forte volontà di rispettare gli ordini di Dio. Tutto questo però non è che una preparazione per accogliere i preziosi doni. Questo modo indica che durante la funzione possiamo trarre giovamento dalla forza delle parole che vengono lette e cantate. Il secondo modo è relativo all’operatività delle letture rispetto all’economia divina. Cabasilas separa l’economia divina in tre parti: al centro c’è il sacrificio della croce, e così dunque anche le letture nel contesto della preghiera eucaristica da un lato guidano i fedeli alla virtù e dall’altro raffigurano il disegno di Dio. Con tale duplice concezione dell’agire delle sacre Scritture e delle letture si rafforza l’influsso dei testi areopagitici sul pensiero ermeneutico di Cabasilas, ma anche la concezione degli ermeneuti della liturgia sacra come Sofronio e Ghermanos di Costantinopoli. Per Cabasilas l’iniziazione è una sorta d’immagine unitaria dell’unico corpo della città del Salvatore, cioè è quel rivelarsi” che guida tutte le sue parti dall’inizio alla fine verso l’ordine e l’armonia reciproci” (La divina liturgia I, 1 e 6).

6. Infine, ancora una parola sul rapporto dialettico tra sacra Scrittura e adorazione divina. Questa dialettica è rafforzata in modo diacronico nella vita della chiesa e traspare anche a livello strutturale: in primo luogo nella collocazione della sacra Scrittura sul sacro altare, un gesto che costituisce l’indizio visibile della presenza del Logos di Dio nella vita della chiesa, e questo nel pensiero patristico ha assunto vari significati, dato luogo a diversi approcci teologico-liturgici, a livello storico, simbolico e anche escatologico. In secondo luogo questa dialettica si manifesta nella sacra eucaristia, che è la ripetizione della storia biblica della salvezza dell’uomo fino alle realtà ultime. Il ciclo quotidiano delle funzioni annuncia senza sosta il messaggio evangelico della salvezza, per tutti. Le letture bibliche e la predicazione costituiscono così parte imprescindibile della santa liturgia: senza “il mistero del Logos”, “la liturgia dei fedeli” sarebbe incomprensibile.

Metropolita Chrysostomos di Messinia