Il sacramento dell’ospite

XXV Convegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa
IL DONO DELL'OSPITALITÁ
Monastero di Bose, 6-9 settembre 2017
in collaborazione con le Chiese ortodosse

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8 settembre 2017
Articolo pubblicato su L'Osservatore Romano

tratto dall'intervento di Paul Meyendorff: Il sacramento dell’ospite. Accoglienza e comunione nella comprensione liturgia

Non sarebbe un’esagerazione dire che da ambedue le prospettive, teologica e pastorale, il XX secolo è stato l’era dell’ecclesiologia eucaristica o dell’ecclesiologia di comunione. Costruendo su sviluppi della teologia biblica e patristica cominciati già nel XIX secolo, i teologi del XX secolo hanno riscoperto la centralità dell’eucaristia nella vita della chiesa. Questo interesse per l’eucaristia non vi fu soltanto nella Chiesa ortodossa. Eminenti studiosi occidentali della Chiesa romano cattolica, tra i quali Jean Daniélou e Yves Congar, riscoprirono l’ecclesiologia eucaristica in modo assai simile attraverso la lettura dei padri della chiesa greci. Questi studiosi prepararono il terreno per le riforme liturgiche del Vaticano II con la loro accentuazione della centralità dell’eucaristia simile a quella dei teologi ortodossi.

Questo rinnovato interesse per l’eucaristia non fu limitato soltanto al campo teologico ma ebbe immediate ripercussioni in campo pastorale. In porzioni sempre più grandi del mondo ortodosso semplici laici ora ricevono la comunione molto più regolarmente e frequentemente. Di fatto, nelle chiese maggiormente toccate dal rinato interesse per l’eucaristia, la maggioranza dei fedeli riceve la comunione ogni sabato. Ma questo rinato interesse non fu limitato al ricevere più frequentemente la comunione, in molti casi comportò notevoli cambiamenti nel modo di celebrare l’eucaristia, compreso l’uso di impiegare la lingua del popolo, la recita ad alta voce delle cosiddette “preghiere segrete”, una rinnovata attenzione alla predicazione, mutamenti nella pratica della confessione.

Oggi pochi sarebbero disposti a negare gli aspetti positivi del rinnovato interesse per l’eucaristia che ha fatto ora il suo ingresso nella riflessione teologica ortodossa tradizionale. L’ecclesiologia eucaristica offre una comprensione coerente, olistica della chiesa; la vede come realizzata e continuamente in atto di realizzazione nel tempo e nello spazio come pure nel mondo a venire. Qui e ora possiamo pregustare il banchetto celeste, l’immagine del Regno. Qui e ora, nell’eucaristia, possiamo sperimentare quella vera unità con Dio e con chiunque altro per il quale fu creata l’umanità e il cosmo intero.

E l’ospite di tale banchetto è niente meno che il Cristo risorto che continua a essere presente con noi nello spezzare il pane. È questo il significato del passo di Luca 24, nel quale il Cristo appena risorto appare la domenica ai suoi discepoli sulla strada che conduce a Emmaus. I discepoli dapprima non lo riconobbero; è soltanto a tavola, dopo che «prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro» (Luca, 24, 30), che finalmente lo riconobbero. Naturalmente il messaggio contenuto in questo passo è che l’eucaristia, che la chiesa ha continuato a celebrare ogni domenica fin dagli inizi, rende vana la necessità di miracolose apparizioni di Cristo perché egli è con noi come ospite del pasto. Tutte le descrizioni sinottiche della cena del Signore presentano esplicitamente Gesù come l’ospite ed è la sua ospitalità che noi stessi sperimentiamo nell’eucaristia.

Il vangelo di Giovanni va ancora più lontano. Non descrive in dettaglio l’ultima cena, si ferma piuttosto sull’episodio in cui Gesù lava i piedi ai suoi discepoli (cfr. Giovanni, 13, 1-20). In questo racconto egli non è semplicemente l’ospite del pasto, ma il servo di tutti che umilia se stesso. E in seguito insegna ai suoi discepoli a imitarlo lavandosi i piedi l’un l’altro. L’offerta di sé nell’ultima cena e lo svuotamento espresso nella lavanda dei piedi sono aspetti della missione di Cristo e modelli per la vita del cristiano. La liturgia nei suoi diversi aspetti ci offre dunque un modello per la vita cristiana. Possiamo imitare Cristo che ha umiliato se stesso assumendo la forma di servo (cfr. Filippesi, 2, 7) oppure possiamo imitare Giuda che, anche se offre un bacio, tradisce Cristo.

La Chiesa ortodossa, come ben sa chiunque abbia familiarità con la prassi liturgica ortodossa, non pratica “l’ospitalità eucaristica”. Soltanto ai cristiani ortodossi è permesso ricevere la comunione e, in molte tradizioni locali ortodosse, esclusivamente a quelli che hanno seguito la severa preparazione prevista. Quale risultato, in molte parrocchie ortodosse soltanto i bambini piccoli e pochi adulti ricevono il sacramento ogni liturgia domenicale. E così la nostra ecclesiologia eucaristica spesso non si riflette nella vita della chiesa dal momento che la maggioranza dei cristiani ortodossi riceve la comunione solo di rado.

Al pari dei cristiani di altre tradizioni, gli ortodossi con poche eccezioni hanno resistito fortemente alla pressione proveniente in larga parte dal mondo protestante, di praticare “una comunione aperta”. La ragione di tale resistenza sta nel fatto che, ovviamente, noi vediamo la comunione eucaristica non semplicemente come un atto di devozione e pietà individuale, ma come un atto ecclesiale. Vediamo l’unità della chiesa in termini eucaristici. L’unità della chiesa sarà restaurata quando i nostri vescovi saranno in grado di concelebrare e quando saremo in grado di condividere l’unico calice. Mentre vi è chi vede questo soltanto in termini puramente escatologici, quelli di noi che sono fortemente coinvolti nei dialoghi ecumenici certamente sperano che questo si realizzi al più presto.

Questo non vuol dire che i cristiani di altre tradizioni non siano accolti cordialmente nelle nostre chiese. Sono lontani i giorni in cui si congedavano i catecumeni dopo la liturgia della Parola, anche se nei libri liturgici restano le formule di congedo. E, dopo la comunione, vedo spesso il fedele avvicinarsi ai non-ortodossi per offrire loro un boccone dell’antídoron in segno di ospitalità. E, più in generale, i cristiani ortodossi sono orgogliosi di accogliere visitatori nelle loro chiese e amano mostrare le loro magnifiche chiese e i loro splendidi riti. Gli ortodossi amano in particolare citare il famoso passo della Prima cronaca russa che riporta l’esperienza degli emissari del principe Vladimir accolti benevolmente dall’imperatore e dal patriarca; essi parteciparono alla liturgia in Santa Sofia, la chiesa cattedrale di Costantinopoli: «I greci ci condussero negli edifici in cui rendevano culto al loro Dio e noi non sapevamo più se ci trovavamo in cielo o in terra, poiché sulla terra non vi era tale splendore e tale bellezza e noi non eravamo in grado di descrivere tutto questo. Sappiamo soltanto che Dio là abita tra gli uomini e il loro culto è molto lontano dalle cerimonie di altri popoli».

Ma questo genere di ospitalità, sebbene autentico e genuino, è ben lontano dall’ospitalità che Cristo offre quando si svuota di se stesso e offre se stesso per la vita del mondo. È chiaramente necessaria una più profonda riflessione teologica su questo tema. Forse un punto dal quale iniziare la nostra riflessione può essere la parabola della festa di nozze in Matteo 22. La festa di nozze è stata compresa all’interno della tradizione cristiana come rappresentazione tanto del Regno escatologico quanto dell’eucaristia che è un riflesso del Regno presente qui e ora. Come in ogni parabola anche questa ci mette in una situazione di grande disagio. Certamente a volte siamo come quelli che rifiutano l’invito, sostenendo che abbiamo altre cose da fare o che, come diciamo spesso al giorno d’oggi, che non ne siamo degni. Ma il padrone è accogliente e desidera che tutti vengano. C’è poi quel pover’uomo che si presenta senza l’abito di nozze; nella letteratura spirituale, spesso si dice che quell’uomo non si era preparato come doveva. Non ci viene però raccontata l’intera storia perché ai tempi del nuovo testamento l’abito nuziale era fornito da chi ospitava la festa di nozze. E dunque il pover’uomo che giunse al banchetto senza la veste adeguata lo fece o perché si era rifiutato di accettarla da chi aveva organizzato la festa oppure perché aveva perduto o macchiato la veste che aveva ricevuto. Quella veste nuziale non è altro che l’abito battesimale che viene dato al neofita al momento del battesimo. Per accettare l’ospitalità del padrone di casa allora dobbiamo soltanto accettare l’abito nuziale che egli ci offre nel suo desiderio di includerci nella sua festa. Il dono del battesimo è l’espressione ultima dell’ospitalità divina. È un invito rivolto a tutta l’umanità senza eccezioni e se accettiamo quell’abito battesimale, possiamo far festa insieme al banchetto celeste, ospitati dal Signore incarnato, crocifisso e risorto.

Di conseguenza, vorrei affermare che la recente tendenza dinanzi all’ecclesiologia eucaristica che ha fatto il suo ingresso nel comune modo di pensare dei cristiani è unilaterale e necessita di essere equilibrata con un’ecclesiologia costruita sul battesimo, un’ecclesiologia battesimale. Se nel XX secolo è stata riscoperta la centralità dell’eucaristia, ora è tempo di riscoprire il battesimo senza il quale è impossibile l’eucaristia e tutto ciò che da essa proviene. La nostra sfida per questo secolo, allora, è quella di impegnarci per il ripristino della centralità del battesimo così come il XX secolo vide il ritorno a una corretta comprensione e pratica eucaristica.