Paternità spirituale e maturazione cristiana

XVI Convegno Ecumenico Internazionale di spiritualità ortodossa
LA PATERNITÀ SPIRITUALE NELLA TRADIZIONE ORTODOSSA
Bose, 18-21 settembre 2008
in collaborazione con le Chiese Ortodosse

Natalija Suchova, Università di MoscaPATERNITÀ SPIRITUALE E MATURAZIONE CRISTIANA
nelle lettere alle monache
di Makarij di Optina
Ignatij Brjanchaninov
Teofane il Recluso

NATALIJA SUCHOVA, Università di Mosca

Bose, 20 settembre 2008

Introduzione

Lo starčestvo russo – carne della carne dello starčestvo della Chiesa universale - ebbe e ha suoi specifici caratteri. Fin dall’inizio della predicazione del Vangelo in Russia, dal suo battesimo, la vita della Chiesa in Russia si formò in tal modo, che le autorità spirituali, i precettori del popolo furono i duchovniki, uomini dello spirito, normalmente monaci, gli starec dei monasteri.
Ovviamente lo starčestvo non si limitava ai monasteri o comunque all’ambito di chi conduceva vita monastica. Ma il monachesimo, dove più che altrove si rifletteva sui problemi dello spirito, sulla lotta alle passioni, dove si approfondivano questi concetti, apportò alla Chiesa una ricca esperienza e una preziosa eredità nell’anima profonda della vita ecclesiale. Perciò in questa relazione si parlerà proprio di tale nutrimento monastico, e in particolare nell’ambito del monachesimo femminile.
La tradizione monastica e lo starčestvo a essa collegato, la direzione spirituale come base della vita monastica non si interruppero nel sottosuolo della chiesa russa, malgrado i gravi eventi storici, le invasioni, i vari influssi cristiani e anti-cristiani, le svolte storiche. Nei diversi secoli si organizzò in modo diverso, talora nascondendosi nel deserto e negli eremi, talora abbracciando un gran numero di uomini alla ricerca di ricchezza spirituale e di salute dell’anima. Uno di questi periodi di crescita dello starčestvo fu tra la fine del 18°-inizio del 19° secolo. Lo starec Paisij Veličkovskij portò in Russia le tradizioni del monachesimo del Monte Athos, infondendo nuova vita ai monasteri ed educando schiere di allievi. Questa tradizione alimentò l’esperienza dell’ascetismo monastico, cercando risposte alle questioni eterne così come ai concreti problemi spirituali di chi cercava in essa una guida per il proprio cammino. Particolare importanza in questa tradizione ebbe lo starčestvo dei monasteri di Optina Pustyn e del suo eremo di Giovanni Battista.
Oltre alla direzione spirituale dei loro monaci, gli starec avevano dei figli spirituali in altri conventi e anche tra i laici nel mondo. Una delle forme di direzione spirituale furono le lettere che gli starec scrivevano ai loro figli spirituali. Vedremo alcuni insegnamenti che le grandi guide spirituali davano per lettera alle figlie spirituali che si trovavano nei monasteri femminili.

Gli starec del 19° secolo.
Qualche parola sugli autori di queste lettere.
Uno dei primi starec di Optina fu il venerabile Macario (Ivanov). Ha lasciato molte lettere ai suoi figli spirituali, monaci e laici. Il suo allievo, altrettanto noto venerabile Ambrogio di Optina scrisse sulle lettere del maestro: “Leggete queste lettere. Troverete in esse abbondante edificazione e conforti nei vostri dolori e la soluzione dei dubbi che vi assillano”. Il padre Macario per la sua umiltà spesso non si esprimeva, avendo compassione della nostra debolezza, ma nelle sue lettere spiega la verità direttamente, spesso senza volerlo”.
Il santo monaco Macario (Ivanov) (1788-1860) di famiglia nobile, dall’età di 22 anni alla sua morte, per 50 anni operò nella vita monastica: era un monaco sacerdote, fece la professione solenne due anni prima di morire.
Era erede della tradizione del santo monaco Paisij (Velickovskij) attraverso un allievo di lui – lo starec Atanasio – sia per l’ambito monastico, che per quello della traduzione dei testi.
Nel 19° secolo tra i monaci e gli starec figurano due archierej, il vescovo Teofane (Govorov) il Recluso e il vescovo Ignatij (Brjančaninov). L’inserimento di vescovi nella schiera delle guide spirituali – fatto non caratteristico della Russia del 19° secolo - evidenzia ancora una volta che lo starčestvo è una speciale vocazione spirituale. Ambedue erano anzitutto eremiti e uomini di preghiera, guide spirituali nel senso più profondo della parola. Sebbene essi siano asceti, fini teologi, conosciuti uomini di Chiesa, dobbiamo dire qualcosa sulla loro concezione della direzione spirituale, sui suoi principi e fondamenti.
Il santo vescovo Ignatij (1807-1867) era anche lui di famiglia nobile, aveva una formazione laica, era ingegnere militare. Ma il suo desiderio di vita monastica lo portò nel 1827 in monastero, conobbe la tradizione di Optina, fu priore dell’eremo della Trinità e san Sergio vicino a Pietroburgo, e dal 1857 fu vescovo nel Caucaso.
Le lettere di Ignatij hanno una particolare importanza nel patrimonio epistolare degli starec russi. Ignatij, avendo studiato profondamente l’antica esperienza di direzione pastorale e spirituale, era piuttosto severo nei confronti dello starčestvo del suo tempo. Egli dice che una tale obbedienza esisteva forse nei tempi antichi, sebbene anche allora di tali starec “ce ne furono sempre pochissimi”. Nell’epoca a lui contemporanea egli non vedeva degli starec, egli stesso dava consigli basandosi sugli insegnamenti e sulla vita dei santi padri, aiutava i suoi figli a condurre la vita sotto la guida degli scritti dei padri.
Il santo vescovo Teofane (1815-1884) era un rappresentante del monachesimo studioso, quello speciale genere di monachesimo il cui servizio era legato piuttosto all’insegnamento nel seminario più che al monastero. Come molti rappresentanti del monachesimo studioso, nel 1859 fu ordinato vescovo, ma dal 1871 si chiuse completamente nell’eremo Vyšenskaja.
Teofane ci ha lasciato un gran numero di scritti. Particolare importanza hanno le sue lettere come direttore di vita spirituale. In esse naturalmente si riflette lo spirito dell’autore. In esse l’edificazione si accompagna alla cordialità e anche all’umorismo.
Non siamo in grado di analizzare tutte le lettere scritte dai tre starec alle loro figlie spirituali monache. Perciò sulla base di singole raccomandazioni cercheremo di capire il tono generale, lo spirito della direzione che gli starec trasmettevano nelle loro lettere.

Parte principale

Ingresso nel monastero e professione come passo decisivo nella vita spirituale

I tre starec di cui parliamo scrissero spesso a persone che volevano iniziare una vita religiosa. Molte raccomandazioni su questo tema erano uguali sia per i laici sia per chi entrava in monastero. Tuttavia l’inizio della vita monastica era un passo importante, che richiedeva un consiglio adeguato.
Lo starec Macario non si stancava di sostenere chi entrava nel monastero nei momenti difficili. “Non mi stupisco delle tue difficoltà, figlia mia – scrive lo starec a una novizia da poco entrata in monastero – come ognuno di noi, anche tu devi traversare il fuoco delle tentazioni perché si rafforzino in te la fede, la speranza e l’amore a Dio”
Ignatij sosteneva la necessità per ogni cristiano di una vita spirituale intensa: “Il nuovo testamento definisce il cristiano come tempio, casa, vaso. Lo scopo di questo tempio, per il quale è stato creato, è di essere dimora di Dio, contenitore dei Doni dello Spirito Santo”. Egli provava sempre consolazione, quando una delle sue pecorelle decideva di fare la professione monastica. Egli per esperienza era convinto che “la permanenza nel monastero ci dà almeno questo frutto, che cominciano a maturare le nostre debolezze e tutta la nostra speranza la poniamo non in noi stessi, ma nel nostro Redentore” ma la vita nel monastero non è priva di pericoli, poiché “sia l’esaltazione, sia lo sconforto”, che nel mondo riempiono la nostra anima, nel monastero possono diventare più forti”.
Ignatij vede nella situazione della monaca da poco entrata in convento degli inevitabili turbamenti, che è necessario attraversare: “Lo spirito che ha subito l’influsso della distrazione mondana, continua a sentire questo influsso anche dopo che se ne è allontanato per un lungo periodo”. Quale rimedio vi è? “Allontanare la mente dalla distrazione col pensiero della morte e del giudizio divino”

Ordinamento della vita esteriore delle monache.
Tutti gli starec danno molta attenzione alla regolazione della vita e al comportamento delle figlie spirituali nel monastero, alle relazioni con l’igumena e con le sorelle. Spesso le allieve stesse fanno delle domande, come comportarsi in certe situazioni, nei casi di conflitto, di incomprensione, di “turbamento”, di rimprovero, di irritazione per questo o quel motivo, per le parole dei superiori o di chi opera nel monastero: tutto ciò che è inevitabile in qualunque società umana, in cui vi siano relazioni così strette e si svolgano attività così impegnative. Tuttavia lo scopo per cui ogni lettera arriva al monastero, cui è rivolta ogni opera – crescita spirituale, edificazione dell’uomo interiore - dà un particolare angolo visuale sui rapporti umani e sui problemi connessi. Questi problemi vengono spiegati non con questo o quel difetto della vicina di cella o con l’eccesso di potere della superiora, ma con le tentazioni spirituali e la mancanza di amore e umiltà. “…Il nemico si arma contro di voi e cerca di distruggere la vostra pace, ma non avrà di che rallegrarsene” Contro questo nemico vi sono due armi: l’amore e l’umiltà.
Macario non vede nella vita monastica solo una pesante croce, spesso parla degli aspetti consolatori di quella vita, manda messaggi di saluto nei giorni di festa, manda auguri di salvezza. “Risorga egli e le nostre anime, mortificate dal peccato – esclama lo starec nel giorno della risurrezione di Lazzaro – e ci faccia entrare nella Gerusalemme celeste”
Teofane a una sua protetta appena entrata in convento consigliava di aumentare le ore di silenzio e di isolamento nella sua cella.
Quando a una figlia spirituale accadde un fatto doloroso e fu costretta a passare in un altro monastero, il vescovo Teofane le scrisse: “sarebbe stato meglio se tu avessi fatto in modo da dimenticare tutto e non ricordare che vivete in mezzo a loro. Allora il convento per te sarebbe diventato un eremo”. Il vescovo invitava la sua figlia spirituale a un tale grado di umiltà, avendo conosciuto per sua esperienza la forza di un tale comportamento tra gli uomini.
Ignatij raccomanda alle sue figlie spirituali di non passare “da un monastero all’altro”, poiché i pensieri “che ci inducono a cambiare luogo non sono altro che astuti suggerimenti del demonio”. Basandosi sui santi Giovanni Climaco e Gregorio Sinaita, il santo dice che nel desiderio di cambiare luogo si rivela impazienza, e “nulla più dell’impazienza rende sterile l’anima…” Se anche nel trapianto l’albero non muore, perde però parte della sua forza, così l’uomo può perdere “quella espiazione, con cui Cristo ha espiato per te” . E i disordini che si vivono nel monastero evidenziano che la strada verso la salvezza “è sempre stretta e difficoltosa”
La vita nella stessa cella con altre sorelle, sebbene sia difficile, è utile, specialmente per il periodo iniziale della pratica di virtù. Se nasce il desiderio di non incontrare altre persone, questo desiderio è sbagliato: l’allontanarsi dalla relazione con gli altri “è dannoso per chi è lontano dalla perfezione”, poiché “nasconde a se stessi la propria debolezza e la rende infruttuosa”.

Lettura della sacra Scrittura e suo ruolo nella vita spirituale
Sia il santo Macario di Optina, sia i due vescovi spesso nelle loro lettere alle monache citano il Vangelo, gli Atti degli Apostoli, i salmi. La loro vita era basata sulla Scrittura, ogni pagina veniva da loro vissuta e confermata nell’esperienza. Questo essi desiderano per il loro gregge, perciò parlano non solo della opportunità, ma della necessità di cercare consigli e risposte, chiare o nascoste, nei testi sacri.
“Imparate umilmente – scrive Ignatij. - Dove? nel Vangelo. Da chi? Dal ladrone, dal pubblicano, dalla adultera…”. Nei consigli di Ignatij la lettura della sacra Scrittura diventa un sistema di ascetica. La lettura del vangelo e del Salterio deve accompagnare la monaca per tutto il giorno: ci sono di esempio gli antichi padri del deserto d’Oriente, per i quali “il vangelo e il Salterio erano quasi gli unici libri”. Talora Ignatij riporta le parole di questi asceti: “Cristo è nascosto nel vangelo, se vuoi trovare Cristo, lo troverai nel Vangelo.”

Lettura dei santi padri.
La costante lettura dei santi padri ha un posto importante nella vita cui gli starec educano le figlie spirituali. Ma questa lettura non è per lo studio, ma per l’edificazione. Tutti e tre gli starec erano istruiti nella tradizione dei padri, e non solo nella ascetica, ma anche nella esegesi dei santi padri, nelle opere di dogmatica. Ma nei loro consigli – se leggere l’opera di questo o quell’autore – il punto di partenza per la lettura è dato da una questione pratica o da una questione sorta nella vita spirituale. Riferimenti ai santi padri vi sono in ogni lettera e su ogni questione, spesso con la precisa indicazione della pagina, del capitolo e delle parole. Vengono consigliati, specialmente da Macario, diversi autori, scegliendo quello che nella data occasione risulta più adatto, più accessibile. Sia Macario di Optina che i due vescovi spesso consigliano alle loro figlie spirituali di leggere il santo Giovanni Climaco, il padre Doroteo, san Macario il grande, sant’Isacco il Siro, san Pietro di Damasco, san Cassiano Romano e, all’occorrenza, altri autori della “Filocalia”. Tra gli autori russi si riferiscono spesso a San Nilo di Sora e a Dimitri Rostovskij.
Sia Macario che i due vescovi consigliano di leggere la vita dei santi, come esempi di attuazione concreta dei consigli spirituali contenuti negli scritti ascetici. Oltre allo scopo diretto – ricevere consiglio dai santi padri per un problema concreto – Macario ne indica un altro: leggendo le opere e la vita ascetica, “vedi la tua piccolezza, e quanto sei lontano dalla perfezione di chi opera per il Signore”. Solo in tal caso “la pratica della virtù sarà illuminata dall’umiltà”. Il vescovo Ignatij riteneva che ogni monaco, pur seguendo un proprio cammino spirituale, attraversa nella sua vita le stesse fasi: anche gli starec delle epoche precedenti, in tal modo, guidano i monaci novizi di oggi.
Il vescovo Teofane, basandosi sullo stesso genere di opere ascetiche, consiglia di leggere “non molto, ma molto”(?), mettere in pratica quello che si è letto, unire alla letture il pensiero su Dio.
Il vescovo Ignatij vede nelle opere dei santi padri un ottimo mezzo per capire il Vangelo. Egli spesso ripeteva alle sue figlie spirituali che le parole di vita eterna “Lo Spirito Santo ce le ha inviate mediante i suoi vasi, i santi padri”. La Chiesa ortodossa accetta solo ciò che viene dallo Spirito santo, e i padri della Chiesa furono ispirati dal medesimo Spirito delle Scritture.
E’ molto importante “il cammino del consiglio percorso dai santi monaci, che raggiunsero prima la purificazione dalle passioni, poi ebbero i doni della Grazia”. Senza questo consiglio con i maestri, è triste “la situazione di quei monaci che, vivendo un una numerosa comunità, non hanno nessuno cui ricorrere nei momenti di debolezza d’animo”. I consigli dei santi padri devono guidare la vita di chi vuole camminare verso la salvezza. “Seguiamo il consiglio di Antonio il grande, di compiere solo quelle opere che sono conformi alle sacre Scritture e ai santi padri”.
Ignatij era attento anche agli autori delle traduzioni delle opere dei padri: anche la traduzione in un’altra lingua dell’esperienza spirituale non può essere fatta da chi non ha quella esperienza. Così riteneva che le opere tradotte da Paisij (Veličkovskij) hanno valore ascetico superiore a quello di ogni altra traduzione.

Rapporto con la tradizione teologica
Mentre tutti e tre i nostri autori raccomandano le opere dei santi padri, il loro atteggiamento verso le altre opere teologiche non è univoco. Specialmente per quanto riguarda la teologia contemporanea, in relazione alle riflessioni teologiche delle monache. Naturalmente ogni credente, e tanto più chi ha scelto la difficile via del monastero deve conoscere e riflettere sui dogmi della Chiesa ortodossa. Ma le strade per le quali si realizza la conoscenza teologica devono essere verificate e non indurre in pericolo.
Alla domanda di una sorella, se è consentito avere consolazione riflettendo su Dio, sulla sua onnipresenza e su altro, rispondeva: “Tutto ciò che ci porta all’amore di Dio e all’umiltà è consentito, ma dobbiamo conoscere la nostra misura e non lasciarci trasportare in alto, o essere in stato d’animo passionale”.
Teofane dà consigli per la lettura dei libri religiosi, secondo il livello della loro formazione. Consiglia a tutte di leggere i santi padri, ad alcune, che conoscono lingue straniere, consiglia di fare traduzioni di libri teologici. Così una monaca, grazie alla conoscenza del francese e seguendo i consigli del padre tradusse la “Guida alla vita cristiana” di Francesco di Salse. Peraltro, riconoscendo che non tutto di questi e simili libri può essere raccomandato alla lettura da parte di tutti, il vescovo propone di trasformare la traduzione diretta in un “adattamento”.
Ignatij era abbastanza severo nel definire quali libri potessero leggere le monache e consigliava di “limitarsi alla lettura dei santi padri, la cui ispirazione divina non era oggetto di dubbio”. Metteva severamente in guardia rispetto alle “traduzioni da lingue moderne”: “quasi tutti sono scritti in spirito di lusinga, come disse l’apostolo Paolo (2Cor 11,13-15) – chi li legge si lega al diavolo, la sua mente e il suo cuore sono adulteri”. Comunque le lettere e i consigli di Ignatij sono basati sulla teologia: i suoi consigli sono cristologici, poiché al centro c’è sempre Cristo, e tutte le strade che egli suggerisce alle monache portano a Cristo. Anche della tradizione dei padri egli dà la propria interpretazione teologica. Ma le figlie spirituali, specialmente quelle che prima di entrare in monastero avevano una istruzione e una abitudine alla riflessione, egli le esorta al “pensiero di Dio”.

La preghiera
Fondamento della vita spirituale è la preghiera, il ritmo di questa vita è stabilito dalla regola della preghiera. Tutti gli starec parlano della Preghiera di Gesù, pur mettendo in guardia da modi arbitrari di praticarla.
Teofane sottolinea il valore della preghiera, ancora maggiore del “pensiero di Dio”. Dà alle monache precise raccomandazioni su come praticare la preghiera di Gesù ed esamina le varie tentazioni spirituali che sorgono in questa pratica.
Egli evidenzia una delle componenti necessarie del cammino spirituale, la “sobria attenzione verso di sé”. Essa si basa sulla incessante preghiera o stato d’animo di preghiera, che consiste nel “pensare a Dio con timore devoto e con decisione pensare, sentire e desiderare solo ciò che è gradito al Signore”.
Ignatij ritiene importante l’inchinarsi nella preghiera: bisogna compiere inchini, “perché il corpo senta stanchezza, che contribuisce alla afflizione del cuore”. Il vescovo si basa sulle parole di Isacco il Siro: “La preghiera in cui il corpo non si affatica e il cuore non si stringe va in senso contrario: quella preghiera è senza l’anima”. Ignatij distingue la “preghiera dei novizi”, la “preghiera corporea” che, come il canto, è accompagnata da una “forte tensione esteriore”, per la quale “la persona raggiunge l’attenzione del cuore e della mente”. Talora egli formula la regola di preghiera per la monaca: successione e numero delle preghiere e degli inchini. Tuttavia, pur con la severità e l’ammonimento alla rilassatezza, Ignatij dice che “non l’uomo è per la regola, ma la regola è per l’uomo”:”se avete mancato per debolezza del corpo, o dell’animo, o della mente, tutto vi perdonerà il misericordioso Signore, dinanzi al quale sono giuste anche le vostre imperfezioni”. In tali casi il vescovo raccomanda di “attenersi al buon senso” e se la “debolezza è naturale”, si può “rilassare il corpo, perché non giunga allo sfinimento”, riducendo gli inchini e la regola serale.
Col progredire nel cammino e il rafforzamento della preghiera del cuore cambiano le regole di preghiera: si riduce la lettura, ma aumenta la profondità dell’attenzione. Il padre loda per questo la monaca più esperta. Questo è “più vicino alla tradizione dei padri, all’immagine divina” e “a chi pratica il silenzio non si addicono le molte parole neanche nella preghiera”. L’evangelista Giovanni scrisse di Dio che “dall’eterno si compiace dell’unico Suo Verbo”. Talora il padre consiglia di togliere dalla regola serale un cafisma o qualche inchino, per pronunciare le parole più lentamente e attentamente, passando “dalla quantità alla qualità”.
Ignatij condannava che nella preghiera prevalesse lo stato della mente e del cuore, mettendo in guardia le monache dal “darsi arbitrariamente alla fantasia” Dà anche un consiglio concreto: “la mente segua la lingua, che pronuncia piano la preghiera”. Il padre dà particolare attenzione alla pratica della preghiera di Gesù: dice che questa pratica “inizialmente sembra arida, ma poi risulta molto fruttuosa”.

Il digiuno
Il digiuno, come ascesi fisica e spirituale, compito salvifico, secondo i tre autori è necessario. Tuttavia rispetto a tutte queste pratiche, bisogna ricordare che “sono per l’uomo, e non l’uomo per esse”. Perciò tutti i precettori consigliano alle sorelle nel caso di debolezza fisica di alleggerire il digiuno, e in caso di malattia di usare il pesce nel grande digiuno. L’argomento principale è il seguente: Il Signore vede nel cuore, in esso avviene ciò che conta per la salvezza, non nelle pratiche esterne. Allo stesso modo in caso di necessità “facevano anche molti grandi santi”. Ignatij porta a una sua figlia due consigli degli starec : di santo Ioann Cassia Romano, che nello scritto “Discussioni” ritiene dannosi ambedue gli estremi, sia l’abbondanza di cibo, sia l’eccesso di digiuno, poiché vedeva “il troppo cibo come mancanza di vittoria, il troppo digiuno come un rovesciamento” (?) Il santo il Grande esortava il fratello a essere “uccisore di passioni”, non “uccisore del corpo”.

Partecipazione ai sacramenti. Confessione. Comunione
Tutti e tre i padri consigliano alle monache di accostarsi più spesso alla confessione dei peccati. Ma nei monasteri femminili si tratta più spesso di confessarsi alla starica che guida la giovane monaca.
Ignatij raccomanda di confessare i peccati alla starica, perché solo la confessione frequente consente di “guadagnare la misericordia di Dio”. Ritiene utile anche rivelare alla starica i pensieri, allora Dio aiuta a “compiere la vera vocazione monastica”. Il vescovo riconosca che “questa via è complessa, porta tentazioni,”, ma “rivelando decisamente le mancanze in opere, parole e pensieri si può in un solo anno fare più progressi che con altre pratiche più faticose nel corso di dieci anni”.
La comunione eucaristica è ritenuta una componente importante della vita cristiana delle monache, ma la frequenza della comunione viene stabilita per ciascuna singolarmente, in base alla sua situazione spirituale.

L’edificazione interiore

Il pentimento
Dal pentimento comincia la vita cristiana e la vocazione monastica.
Teofane consiglia di esaminare tutte le proprie azioni, e, se necessario, purificarsi con la confessione e con una adeguata penitenza. Nella vita cristiana e ancor più monastica vi sono cadute, talvolta invisibili a uno sguardo esterno. Così dopo uno speciale dono di Grazia, che Dio ci concede di gustare, gli errori appaiono molto distruttivi. Ma in ogni situazione “è sempre possibile sollevarsi” se ci si rivolge a Dio “con pentimento e promessa di fare il bene”.
Ignatij ricorda che Gesù, la Verità Celeste scesa sulla terra per gli uomini peccatori e deboli, iniziò il suo insegnamento dicendo: pentitevi! Da qui comincia la vita cristiana, che è sequela di Cristo, e così continua “fino all’ultimo respiro, poiché la Verità, esortandosi al pentimento, non vi ha posto altro limite sulla terra che la fine naturale che è la fine della vita terrena dell’uomo. Ignatij insegna a pentirsi sempre e con tale forza, da sentire nel cuore “come se la vita fosse precipitata nelle tenebre, come si sente un appestato cacciato via dal villaggio”. La ricompensa prima per il pentimento nella nostra vita, la maggiore consolazione sarà “il pianto e la compassione”. Il pianto è “azione di grazia, data nel battesimo, è un intervento dello Spirito, ricevuto col battesimo, in favore del peccatore”. Il regno dei cieli, dice il vangelo, si apre alla “preghiera della reietta” e alla “confessione del ladrone”.

Le umane debolezze
Le debolezze – fisiche, mentali, spirituali – sono considerate un aiuto di salvezza e persino una consolazione.
Macario ricorda l’episodio di Pimen il Grande, quando egli taceva alle domande dell’allievo sulle grandi prove e cominciò a parlare solo quando gli domandò delle debolezze e delle lotte.
Tutte le debolezze, insegna Teofane, vanno sopportate, perché le permette il Signore. Così Egli prova la sincerità della devozione a lui. Talora vengono meno anche le consolazioni spirituali che accompagnano le pratiche di virtù. Ma quando l’anima, privata delle consolazioni e cosciente della sua debolezza, comunque serve Dio con tenacia, allora Dio le restituisce le consolazioni.
Ignatij a questo proposito ricorda che la salvezza dalle debolezze, come dagli ostacoli e dalla prigionia, è solo in Cristo, poiché solo Lui crea la forza. Egli non consiglia di essere troppo severi verso le proprie debolezze, ma invece di essere accondiscendenti, poiché “l’eccessiva severità distoglie dal pentimento, portando tristezza e sconforto”

Sopportazione dei dolori
Anche i dolori hanno un senso salvifico. Ma se si sopportano a fatica e conducono alla tristezza, gli starec danno qualche consiglio su come comportarsi con i dolori.
In caso di dolori e malattie Macario raccomanda la pazienza. “Non abbattetevi, o figli, non siate rigidi nel sacrificio della vostra pazienza, sappiate che il Signore permette questo per il vostro meglio”. “vedo dalla tua lettera che tu hai consolazione e dolore alternatamente, questo significa che sei sul cammino giusto. Da ambedue le situazioni trai il bene”
Ma nelle lettere si incontrano anche parole severe: “Mi ha fatto male vedere che sei triste; ho cercato di pacificarti, ma non sono riuscito, e le mie parole non ti sono gradite”.
Teofane dice che la sopportazione dei dolori “è una trebbiatura… quanto più si batte, tanto più grano si ottiene”. E da questa trebbiatura viene il pane “per la mensa di Dio”. Alla domanda di una monaca, per quali peccati vengono i dolori, risponde: “Non sempre per i peccati. Forse alla corona viene aggiunta una pietruzza, che viene levigata … meglio non porsi tali domande, limitarsi a questa conclusione: sia fatta la tua volontà … sapiente e consolatrice”
Ignatij scrive spesso alle sue monache sulle sofferenze, sul posto della Croce nella vita del cristiano. “Preparatevi ai dolori, e saranno più leggeri, rinunciate alla consolazione, ed essa verrà a chi si ritiene indegno”. Il modello della sopportazione senza lamentarsi è Cristo, gli apostoli e i santi, che nella vita ebbero molte sofferenze. Qualunque sia la nostra situazione, non si può essere di Cristo senza croce.”

Lotta alle passioni
La lotta alle passioni è uno dei temi principali. Delle passioni sono vittime tanto novizi e novizie, quanto monaci e monache esperti. Sono litigi, durezza di cuore, sospetto, ansia, aridità, pigrizia, sonnolenza, disobbedienza, negligenza.
Teofane dava consigli sulla lotta alle passioni in base alla singola persona. La cosa principale è “l’interiore dedizione a Dio in fede speranza e carità”. Tutte queste sorgenti, sotto il segno della grazia, sono nella nostra libertà. E la libertà, con l’aiuto di Dio, può essere diretta dall’uomo. Il comportamento esteriore dipende dalla situazione. Il silenzio, ad esempio, è una pratica sempre opportuna. Perciò per facilitare il compito e per evitare che la monaca cada nell’orgoglio, egli la benedice con divieto di “dire solo ciò che è necessario, e del necessario solo ciò che è edificante”
Talora Teofane, in base ai consigli degli starec, mette in guardia anche dalle consolazioni spirituali. Anche in questo vi è un pericolo,quello di un “compiacimento, che a Dio non è gradito”.
Ignatij esorta a combattere le passioni “come un servo fedele e un soldato di Cristo”. Riporta molti consigli dei santi padri, esempi di asceti che superarono gli attacchi delle passioni. Ma dice che l’unica speranza nella lotta alle passioni è nel Signore, e la via è la coscienza dei propri peccati e debolezze. Allora il Signore sarà “la vostra fortezza, il vostro canto e la vostra salvezza”

Superamento delle tentazioni
Tutti gli starec riconoscono che le tentazioni accompagnano inevitabilmente la vita cristiana come quella monastica.
Macario evidenzia due tentazioni frequenti nei novizi: il turbamento e la paura, e i cattivi pensieri sulla scarica o le sorelle. “Mi scrivi del tuo turbamento e paura: vengono dalla piccolezza di animo.. rivolgiti a Dio, Lui ti ha chiamato al Suo servizio”
Nei momenti difficili, quando alla monaca vengono pensieri sullo stesso starec Macario, egli non si turba, sostiene l’animo debole, sebbene la rimproveri di piccolezza: “Ti sai afflitta, perché ti sono venuti cattivi pensieri su di me… Tu non sei molto colpevole, sii tranquilla; e se anche in qualcosa hai consentito, non preoccuparti. Ti perdono.”
Secondo Ignatij, talora alle tentazioni portano la mancanza di umiltà e la fiducia nelle proprie forze, il prendere impegni superiori alle forze, che è segno di orgoglio. Bisogna credere che Iddio non ci dà tentazioni superiori alle forze, perciò davanti alle tentazioni bisogna “abbassare la testa”. Riporta le parole di Isacco il Siro che “l’uomo, prima di avere le tentazioni, prega Dio come estraneo a Lui, ma quando per Lui è assalito dalle tentazioni, allora Lo prega come se fosse di Lui”
Talora Ignatij ritiene l’apparire delle tentazioni un buon segnale, cioè l’inizio di una preghiera giusta e benefica. Quando le monache si lamentano con il vescovo che all’inizio della pratica della preghiera di Gesù nascono “tristezza e le sue conseguenze: fastidio, incomprensione, sonno eccetera” egli riporta le parola di Giovanni Climaco: “Il beneficio della preghiera… lo si nota dagli ostacoli che il demonio fa nascere durante la stessa preghiera”.
Un mezzo efficace per combattere le tentazioni Ignatij lo vede, secondo Giovanni Climaco, nel “ricordarsi della morte”. Consiglia di pensare alle pene dell’inferno, e allora “le tentazioni diventano leggere”

Umiltà e auto rimprovero
La saggia umiltà è la condizione dell’anima che è necessaria sempre e a tutti. Essa è strettamente legata al pentimento e alla confessione dei peccati.
Macario riporta alle sorelle le parole di Isacco il Siro che “come il sale in ogni cibo, così è necessaria l’umiltà in ogni buona opera”
Teofane non solo consiglia come sviluppare l’umiltà, ma lui stesso coltiva questa umiltà nelle sue lettere. Così a una monaca che desidera i voti solenni egli la rimprovera per la sua eccessiva autonomia e per la sua domanda su quale impressione avesse dato.
Il vescovo dà un insegnamento sulle croci che l’uomo porta nella sua vita cristiana e che “nascono una dall’altra” e sono inseparabili fino alla tomba. C’è la croce esteriore che “sta sulle spalle” – dolori, privazioni, malattie, calunnie” C’è la croce interiore – “abnegazione e automortificazione”. C’è la croce “spirituale, Divina – la crocifissione per volontà Divina”
Ignatij, con degli esempi tratti dal vangelo, augura alle sorelle di avere “l’umiltà travagliata”, poiché il cuore afflitto e umile sarà apprezzato da Dio. Il costante auto-rimprovero, la confessione a se stessi della nostra debole volontà, questa è la strada di chi si fa umile giudicando severamente se stesso, allora Dio “lo giustifica e ha pietà di lui”.
“Mi sono confortato, vedendo dalla tua lettera che non sei così arguta come eri prima”, scrive Ignatij a una monaca. “Ti scrivo così apertamente, che tu puoi vedere come ti sono vicino col cuore e come desidero che tu faccia progressi nel Signore”

La pace nell’anima
Tutti gli starec parlano di raggiungere la pace dell’anima, ma in modo diverso.
Macario vede la pace interiore e la serenità nell’umiltà. L’insufficienza di ciò è evidenziata dal contatto con pensieri passionali verso cui il cuore si dirige, evidenziando così che l’uomo interiore è in accordo con le proposte del nostro nemico. Egli esorta le sue figlie a essere tranquille e serene, e anche qui la strada è il riconoscimento delle proprie mancanze, il ritenersi “l’ultimo degli ultimi”. Allora qualunque rimprovero sarà accettato serenamente.
Teofane consiglia di “mettersi col cuore davanti a Dio, e rimanerci saldamente” La migliore situazione del cuore è la tensione interiore a voler rimanere con il Signore”. Quando questo avviane, tutto il resti si ordina da solo, tutto ciò che è esteriore si allontana e rimane “Iddio nell’anima e l’anima in Dio”. Consiglia perfino a una figlia, per raggiungere questa condizione, di isolarsi nella cella come in una tomba. E dalla cella “costruire una scala verso il cielo”, sulla quale il cuore può salire, tenendosi lontano dalla vanità mondana e dagli spiriti del male.

Ignatij vede solo nella fede la pacificazione de turbolento animo umano: “La fede … porta alla serenità spirituale” scrive Ignatij parlando degli uomini che hanno raggiunto la pura contemplazione. “Raggiunta questa serenità, riposano piacevolmente sui lussuosi giacigli della visione di Dio”
La fede in Cristo, come dicono gli starec, ci permette di sopportare debolezze e dolori, di lottare con tentazioni e passioni. Solo la fiducia che il Signore prende su di sé ogni peso è l’unica vera saldezza e forza del cristiano.
9.9 L’amore

Corona del progresso spirituale è il raggiungimento dell’amore, quel sentimento perfetto senza del quale, come dice San Paolo, non contano nulla le virtù e le offerte, l’unico che “non cessa mai” (1Cor 13,1-12).
“L’amore senza umiltà non può essere saldo – scrive Macario a due sorelle monache – L’ho visto nelle vostre lettere: avete abbandonato il mondo, ma l’avete fatto per amor proprio; in voi non c’era posto per l’umiltà, anzi l’avete esclusa”
Ignatij, seguendo i santi padri, distingue due tipi di amore: naturale ed evangelico, cioè “in Cristo”. L’amore naturale è dato all’uomo dalla creazione ed è in ognuno, ma è stato deteriorato dal peccato originale. Ora Cristo, “che guarisce in modo divino le nostre infermità, guarisce anche l’amore deteriorato”. Cristo non solo ristabilisce quello che era prima del peccato originale: egli “innalza l’amore a un altissimo grado di ardore, gli dà purezza, santità “e ci dice di amare negli uomini Lui, il Signore”. Con la fiamma dell’amore in Cristo si spegne “la fiamma brutta e fumosa dell’amore carnale, un amore ibrido, fatto di un piacere immaginario e di duro tormento”

Conclusione

Il ruolo della paternità nella vita spirituale
Perché è tanto importante la direzione spirituale nella crescita spirituale e quindi per la salvezza? Qual è la specificità di questo insegnamento? Gli starec hanno creato in sé un uomo nuovo, che vive secondo le norme della Grazia cristiana. Un uomo umile che si rallegra in Cristo, un uomo che ama, che non teme gli ostacoli esterni. Questo nuovo uomo interiore, non condizionato dalle circostanze, gli starec lo formavano anche nelle persone che ricorrevano a loro. Talora ad alcuni cambiavano le scelte di vita, talora lasciavano tutto l’esterno senza cambiamenti. Gli starec aiutavano i figli spirituali a divenire vasi di grazia divina, ad assumere un nuovo contenuto, che per l’uomo poco esperto è difficile definire. In questa guida, in questa penetrazione nel destino umano, in questa gioia per il Signore delle anime dirette dallo starec, nella loro dedizione e fiducia si capisce la specificità dello starcestvo russo.
Gli starec si riconoscevano servitori di queste anime, come scriveva Ignatij: “Desideri essere con me mia figlia? Io vado in visibilio, guardando la schiera dei miei figli spirituali, dei quali non sono degno di chiamarmi padre, ma servitore”. Quale potere può avere un servitore? Il grande potere dell’amore paterno. Invisibile è la vita contemplativa dello starec, raggiunta da lui nel cammino della propria rinuncia alla volontà e dell’ubbidienza al padre spirituale
Lo starec per umiltà non usa rivelare il suo mondo interiore, le sue alte visioni, ma si rivela nelle sue lettere e talora in brevi componimenti. Le lettere degli starec ci inseriscono nella eredità spirituale della Chiesa – fatta di parola e di esperienza – aiutandoci nel nostro cammino. Le parole e le immagini dei santi Padri non erano solo proposte verbalmente in una lingua molto chiara, ma erano vissute insieme ai discepoli, perciò erano e sono tuttora veramente salvifiche.
Ricordiamo in quale epoca vissero quegli starec. Il secolo successivo, il 20°, fu un secolo di persecuzioni per la Chiesa. Gli starec, come se presentissero la bufera imminente, si misero al servizio del mondo. La Chiesa russa affrontò le persecuzioni rafforzata dallo starcestvo, le ha superate e ha aggiunto alla schiera dei santi la schiera dei nuovi martiri.

Multiformità nell’unità e unità nella multiformità

Le lettere degli starec sono sempre una risposta alla vita reale, ai problemi concreti delle persone. A ogni figlio spirituale trovavano la sua strada, spiegavano, evidenziavano il suo archetipo, entravano nel mistero che il Creatore ha messo in ogni anima.
Malgrado le differenze nelle risposte concrete, queste risposte costituiscono qualcosa di unitario, talora le loro parole coincidono del tutto. Questo perché esse vengono da un’unica esperienza, di cui gli starec erano partecipi.
I consigli degli starec davano il diapason della vita spirituale, l’orientamento verso la Verità e la salvezza, perché con le loro labbra parlava la Chiesa.