Obbedire a chi?

I tre giovani del libro di Daniele

Babilonia, 606 a.C.: il re Nabucodònosor fa erigere una statua d'oro nella pianura di Dura, e ordina che tutte le autorità politiche, religiose e giuridiche dei territori limitrofi vengano a presenziarne l’inaugurazione. Un banditore riferisce a gran voce il proclama del re: a un segnale convenuto, tutti avrebbero dovuto prostrarsi davanti alla gigantesca statua d’oro, pena la morte in una fornace ardente.

Tre giovani, amministratori della provincia di Babilonia ma originari della terra di Israele, non si prostrano. Denunciati da alcuni Caldei che li avevano osservati, sono condotti davanti al re che, sdegnato e pieno d’ira per la loro disobbedienza, li fa gettare in una fornace. Grande è lo stupore di Nabucodònosor, al vedere che i tre giovani non vengono neanche sfiorati dalle fiamme: anzi, vi passeggiano in mezzo, lodando e benedicendo il loro Dio, il Dio di Israele. Pentito, il re fa liberare i tre giovani e riconosce: “Hanno trasgredito il comando del re e hanno esposto i loro corpi per non servire e non adorare alcun altro dio all’infuori del loro Dio ... Non c’è nessun altro Dio che possa liberare allo stesso modo” (Dn 3,95-96).

Cos’ha da dirci questa storia, lontana nel tempo e nello spazio, lontana anche dalla nostra sensibilità laica, democratica e occidentale?

La scelta di non prostrarsi davanti alla statua smaschera l’adesione falsa e meccanica alle regole del potere di turno (che sia religioso o politico) e alle sue rigide regolamentazioni. I tre giovani hanno una percezione precisa e profonda di quell’azione, che gli altri stanno compiendo in maniera quasi meccanica. Tutti si stanno prostrando davanti a una statua: che senso ha? Certo, si potrebbe affermare che il gesto sia di per sé innocuo: l’ordinanza del re mirava a un riconoscimento della propria persona e del proprio potere, in vista di un controllo tutto sommato pacifico delle persone e dei territori a lui affidati. Ai giovani in fondo quel gesto non sarebbe costato molto, e avrebbe fatto stare tranquillo il re. Con la loro disobbedienza, invece, oltre a suscitare l’ira del capo di quella grande comunità cui appartenevano, incorrono nelle accuse di chi è al pari loro, dei loro compagni, e mettono a repentaglio la propria vita. Perché? I tre giovani disobbediscono all’ordinanza del re non per spirito di ribellione, né per arroganza od orgoglio: lo rivela la lunga preghiera che elevano nella fornace ardente in cui, oltre a lodare e benedire il Signore, si confessano peccatori: “Oggi siamo umiliati per tutta la terra a causa dei nostri peccati” (Dn 3,37). La motivazione della loro disobbedienza è espressa proprio in molti versetti di questa preghiera: “Ti seguiamo con tutto il cuore, ti temiamo e cerchiamo il tuo volto” (Dn 3,41); “Non c'è delusione per coloro che confidano in te” (Dn 3,40). Una preghiera che non a caso entrerà a far parte dell’innografia cristiana.

I tre giovani vedono oltre ciò che è artificioso (adorazione di una statua), perché nutrono un desiderio profondo di autenticità, verità e trasparenza. Non obbediscono al comando del re, forse memori che “i comandi del Signore rallegrano il cuore, la volontà del Signore è luminosa, dà trasparenza allo sguardo” (Sal 19,9), e che vi è “grande pace per gli amanti del tuo insegnamento: in essi non c’è contraddizione” (Sal 119,165).