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L’appello che l’altro è

 Lc 10, 25-37

 Il malcapitato della parabola lucana, più che metafora delle categorie sociali bisognose, è il paradigma dell’essere umano in quanto tale che, nella sua realtà costitutiva e più profonda, è essere di bisogno che grida e attende aiuto. Egli è il rappresentante dell’alterità nuda e radicale, dove l’altro si erge di fronte all’io non più come “corpo forma” ma “de-forme” che, nel suo essere di bisogno, è messa in discussione dell’io convertendolo da desiderante a responsabile. Egli è il paradigma del volto che si sottrae al dominio dell’io paralizzandone i poteri e giudicandolo.
Ma la parabola del samaritano custodisce un senso ancora più abissale: che dal silenzio del corpo di quel malcapitato, di cui non si consoce il nome e del quale non si vede il volto e neppure si dice che gemesse e invocasse, si innalza una voce che, nella sua assolutezza, interrompe il cammino dei passanti e li convoca alla responsabilità indeclinabile: rispondere positivamente a quel grido assumendolo nella compassione oppure negarvisi restando avvinghiati al proprio io. Voce assoluta e incondizionata che, acconsentita come fa il samaritano, introduce nella “vita eterna”, l’orizzonte del Senso; mentre rifiutata, come fanno il sacerdote e il levita, esclude dallo spazio della vita.
È qui dove la parabola del samaritano svela il suo significato ultimo e sconvolgente: il luogo originario dove Dio mi parla e mi incontra convocandomi alla responsabilità e giudicandomi è l’altro nel suo essere di bisogno, l’alterità dell’altro nella sua irriducibilità al desiderio dell’io e dei suoi progetti (Carmine di Sante, Responsabilità, Edizioni Lavoro, Roma 1996, pp. 91-93).

Vedere quell’unica ferita

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Sembra che il legame della carità, la congiunzione fra uno sguardo e la verità di un dolore, consista proprio nell’arrestarsi, nel voltare la testa. Simone Martini ha dipinto con grande esattezza questo momento di conversione in uno degli affreschi che decorano la cappella di san Martino nella chiesa Inferiore della Basilica di san Francesco ad Assisi...

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La strada insegna il silenzio

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Chi cammina a lungo ama il silenzio. Esso gli permette di regolare il respiro sul ritmo dei suoi passi. Gli fa udire anche il rumore dei suoi passi, diverso su un terreno friabile o sassoso, sulla ghiaia, o sulla morbidezza del suolo erboso. Questa percezione del rumore dei passi fa parte del ritmo del cammino...

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Sii tu Gesù la canoa

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Sii tu, Gesù,
la canoa che mi tiene a galla nel mare della vita,
il timone che mi trattiene sulla giusta rotta...

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Camminare: un esercizio di leggerezza

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Il pellegrino è uno che cammina. Ha accettato di partire, di spezzare o interrompere il corso dei giorni, il corso della sua vita, per porre da quel momento il suo centro di gravità nel cammino, nel movimento, in avanti. Per lui il futuro esercita la sua attrazione sul presente. Chi cammina sa che dovrà da quel momento fare esercizio di leggerezza...

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