Luigi d’Ayala Valva (1976, Livorno) è membro della Comunità monastica di Bose. Dopo studi di storia e letteratura greca antica, è entrato nel Monastero di Bose nel 2001, dove svolge attività di ricerca e di traduzione nell’ambito della patristica e dell’agiografia monastica antica, con particolare riferimento all’ambito bizantino. Visita spesso la Grecia e intrattiene rapporti con le comunità monastiche del Monte Athos. Nella comunità è incaricato della formazione dei novizi e collabora con la redazione delle Edizioni Qiqajon e alla newsletter ecumenica per l’ambito ortodosso. È membro del comitato scientifico del Convegno ecumenico di spiritualità ortodossa, organizzato ogni anno a Bose dal 1992, e dell’A.I.E.P. (Association Internationale Etudes Patristiques). Tra le sue pubblicazioni, la traduzione italiana con commento di alcuni dei principali testi della spiritualità monastica bizantina: la Scala di Giovanni Climaco, le Piccole catechesi di Teodoro Studita, i Detti dei padri del deserto (Serie sistematica). Al momento sta per pubblicare la Vita di S. Atanasio l’Athonita.
Aristotle Papanikolaou è nato e cresciuto e Chicago, Illinois. È co-fondatore e Senior Fellow al Fordham’s Orthodox Christian Studies Center e al Center for the Study of Law and Religion presso l’Università di Emory. Nel 2012, ha ricevuto il premio di eccellenza per l’insegnamento universitario in discipline umanistiche. È appassionato di letteratura russa e di musica bizantina . Le sue aree di conoscenza comprendono la teologia ortodossa orientale, la teologia trinitaria, e la religione nella vita pubblica. Al momento sta elaborando uno studio sulla relazione tra antropologia teologica, violenza e virtù etiche.
La sua ricerca esplora in particolare la rilevanza del dire la verità (confessione) per comprendere cosa significhi essere umani. La ricerca è parte di un progetto interdisciplinare e si concentra sull’effetto affettivo del dire la verità, cioè sull’impatto del dire la verità sull’ambito delle emozioni e dei desideri umani, e su come questo impatto sia condizionato dalla presenza o meno di particolari uditori. Ha ricevuto il premio Sabbatical Grant for Researchers dal Louisville Institute per il suo progetto The Ascetics of War (L’ascetica della guerra), che esplora la rilevanza della nozione ortodossa orientale di virtù e il ruolo del dire la verità per eliminare gli effetti affettivi della guerra sulla persona umana. Dalla prospettiva della antropologia teologica, è interessato alla questione di come il dire la verità possa illuminare la comprensione dell’identità, del peccato, della virtù, della comunicazione della grazia, una comprensione relazionale dell’individuo e la nozione ortodosssa di theosis (divinizzazione). Tra le sue pubblicazioni: The Mystical as Political: Democracy and Non-Radical Orthodoxy, Notre Dame, Indiana 2012;Being with God: Trinity, Apophaticism, and Divine-Human Communion, Notre Dame, Indiana 2006; “The Ascetics of War: The Undoing and Redoing of Virtue,” in Orthodox Perspectives on War, ed. Perry Hamalis, Notre Dame Press, forthcoming; “Modes of Godly Being: Reflections on the Virtues in Eastern Orthodox Christianity”, eds. Aristotle Papanikolaou and Perry Hamalis, in Studies in Christian Ethics 26:3 (August 2013); Orthodox Constructions of the West, eds. George Demacopoulos and Aristotle Papanikolaou (New York: Fordham University Press, 2013);Orthodox Readings of Augustine, eds. George Demacopoulos and Aristotle Papanikolaou (St. Vladimir’s Seminary Press, 2008); Thinking through Faith: New Perspectives from Orthodox Christian Scholars, eds. Aristotle Papanikolaou and Elizabeth Prodromou (St. Vladimir’s Seminary Press, 2008);“Learning How to Love: St. Maximus on Virtue”, in Knowing the Purpose of Creation Through the Resurrection: Proceedings of the Symposium on St. Maximus the Confessor, ed. Bishop Maxim Vasiljević (Alhambra, CA: Sebastian Press & The Faculty of Orthodox Theology – University of Belgrade, 2013): 239-250.
Dire la verità come martirio in vista della comunione
Quali sono gli elementi costitutivi del martirio cristiano che lo rendono distinguibile dal suicidio o da altre forme di morte volontaria? Il martirio è un evento di comunione costituito da una particolare forma di interrelazione tra la morte, l’altro e il dire la verità. Ciò che costituisce la morte come martirio non è la morte come tale, affrontata per fede nella resurrezione, ma una morte che è conseguenza di un dire la verità e che realizza una comunione. L’autore illumina quindi la fenomenologia del martirio a partire dalla fenomenologia dell’atto di dire la verità. L’atto di dire la verità, accolto da qualcun altro nella verità e nell’amore, diventa un evento di libertà; esso è una forma di martirio e rende possibile la comunione, perché rompe la maschera che impedisce la comunione con l’altro. L’autore si chiede se il martirio-come-dire-la-verità in vista della comunione possa avere implicazioni politiche. Egli è convinto che nelle società delle democrazie liberali, nonostante le grandi differenze e le apparenti inconciliabilità rispetto alla forma di comunione vissuta all’interno della chiesa, la capacità di dire la verità renda possibile un’autentica “politica del martirio”, e ne scorge il segno nella manifestazione visibile di forme di comunione politica e di forme di relazionalità che intersecano le profonde e irriducibili differenze che rendono gli esseri umani unici. Nelle osservazioni conclusive l’autore suggerisce che il dono dei martiri all’umanità consiste nel testimoniare che non ci può essere comunione senza martirio, senza una morte (spirituale o fisica) che sia il risultato di una verità detta all’altro. È solo nel martirio che l’amore vince la paura.
Kurt Koch, vescovo di Basilea dal 1995, impegnato da sempre nel dialogo ecumenico, nel 2010 è stato nominato presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Dal 1985 fino alla nomina episcopale ha insegnato nelle facoltà teologiche di Friburgo, Lucerna e di Zurigo. È autore di numerosissime pubblicazioni. Ricordiamo, in particolare, sul tema dell’ecumenismo, Dass alle eins seien. Ökumenischen Perspektiven, Augsburg 2006 (traduzione italiana: Il cammino ecumenico, Magnano 2012).
Testimonianza comune, speranza di unità
Papa Giovanni Paolo II ha attribuito un peso particolare alla dimensione martirologica dell’ecumenismo. Quando, nell’anno santo 2000, ha commemorato al Colosseo, luogo in cui i cristiani hanno versato il proprio sangue per rendere testimonianza alla loro fede, l’ecumenismo degli innumerevoli martiri del xx secolo appartenenti a tutte le chiese cristiane, ha espresso la sua profondissima convinzione ecumenica: mentre noi cristiani e chiese su questa terra siamo ancora in una comunione imperfetta l’uno con l’altro e l’uno verso l’altro, i martiri, nello splendore celeste,vivono fin d’ora una comunione piena e perfetta. I martiri sono un segno che ci ricorda come ogni divisione può essere superata nella testimonianza della propria fede in Gesù Cristo fino al dono della propria vita.
Shahe Ananyan è nato nel 1982 a Nor Achin (regione di Kotayk, Armenia). Ha studiato presso l’Accademia teologica di Vaskenyan e presso il Seminario teologico Gevorkyan, della Santa Sede Madre di Etchmiadzin, difendendo nel 2005 la tesi: “Frasi indirette nei quattro vangeli: versione antico-armena e testo greco”. Nel 2004 è stato ordinato diacono e nell’anno successivo presbitero-celibe. Dal luglio 2005 ha svolto mansioni di segretario personale di S. S. KAREKIN II, Patriarca Supremo e Katholikos di tutti gli Armeni. Nel 2006-2010 ha studiato presso l’Institut Catholique di Parigi e presso l’ELCOA (Ecole des langues et des civilizations de l’Orient) della Sorbona di Parigi, difendendo con successo la tesi di licenza: “Libro dei Proverbi, cap. 8: Un saggio di lettura canonico-teologica nella tradizione armena”. Nel 2012 ha difeso la tesi “Sapienza e Bibbia. Interpretazione e teologia del Libro dei Proverbi (capp. 1-9)”, ricevendo il grado di archimandrita e nel 2013 è stato nominato capo e direttore del Dipartimento editoriale della Santa Sede, e nel 2015 direttore del Dipartimento per le relazioni inter-ecclesiali. Dal 2009 insegna Teologia dell’Antico Testamento presso il Seminario teologico Gevorkyan, e dal 2012 presso la Yerevan State Linguistic University come professore di studi religiosi. Nel periodo 2013-2016 ha studiato presso la Yerevan State University (Facoltà di psicologia) conseguendo la tesi di dottorato: “L’influenza dell’ermeneutica giudeo-ellenistica sulla formazione e lo sviluppo dell’antica filosofia religiosa cristiana”. Nel 2016, dopo aver discusso la tesi “I fondamenti teorici della primitiva letteratura esegetica cristiana (I-III secc.): analisi storico-teologica delle fonti principali”, ha raggiunto il grado di Supremo Archimandrita (Tsayragouyn Vardapet).
I santi martiri del genocidio e del regime sovietico nell’Armenia del XX secolo
La relazione presenta due figure emblematiche della chiesa apostolica armena del XX secolo: il Vardapet Komitas Soghomonyan (1869-1935), fondatore della scuola musicale armena e “martire vivente” sopravvissuto al grande Genocidio armeno (1915-1923), e il Catholicos Khoren I Muradbekian (1932-1938), capo della chiesa armena assassinato per mano degli agenti della polizia segreta del regime sovietico. Entrambe queste figure sono diventate simboli e immagini collettive della sofferenza dell’intero popolo armeno, in grado di rappresentare e realizzare attraverso la loro vita personale (il primo anche attraverso la sua importante opera in ambito musicale) la comunione tra le generazioni e all’interno della coscienza cristiana degli armeni. L’autore è convinto che la recente proclamazione ufficiale della santità dei nuovi martiri del Genocidio armeno abbia cambiato e continui a cambiare il concetto di martirio e di testimonianza cristiana all’interno della coscienza cristiana armena. Tale cambiamento rende necessario riconoscere ufficialmente il martirio di moltissimi cristiani dimenticati che hanno dato la loro propria per Cristo dopo o anche prima del Genocidio armeno (ad esempio durante il periodo sovietico). Anche in questo senso i martiri continuano a essere testimoni di comunione, un legame spirituale che permette alla chiesa di riappropriarsi del suo passato.
Daniela Kalkandjieva, dopo gli studi alla facoltà di storia all’Università St Kliment Ohridiski a Sofia, ha conseguito un PhD in storia presso la Central European University in Ungheria con una tesi sugli aspetti ecclesiastico-politici dell’attività del patriarcato di Mosca. Oltre che di storia della chiesa in Russia, nel corso delle sue ricerche si è occupata della chiesa bulgara interessandosi in particolare del rapporto tra religione e sfera pubblica, di dialogo interconfessionale, dell’impatto dell’ortodossia sul processo di integrazione in Europa. Tra le sue molte pubblicazioni ricordiamo The Russian Orthodox Church, 1917-1948 From Decline to Resurrection, London 2015 e lo studio sulla chiesa ortodossa bulgara negli anni 1944-1953 (Balgarskata pravoslavna tsarkva i darzhavata, 1944-1953, Sofia 1997).
Martiri e confessori nella Chiesa ortodossa bulgara sotto il regime comunista
La caduta del comunismo in Bulgaria nel 1989 ha rotto il silenzio sulla persecuzione del clero ortodosso durante il governo dell’ateismo militante. Ventisette anni più tardi la loro canonizzazione è ancora una questione aperta. Nessuno di essi è stato riconosciuto canonicamente martire o confessore e nel calendario ecclesiastico non è prevista una commemorazione di quei servi di Dio che hanno testimoniato la loro fede fino al martirio. Nel frattempo gli archivi del partito comunista bulgaro e dei suoi servizi segreti sono stati resi pubblici. Il loro studio ha gettato nuova luce sul destino di centinaia di chierici ortodossi che sono rimasti saldi nella loro fede nonostante l’asprezza della persecuzione e le torture disumane. La presente relazione esaminerà le vicende di vescovi, preti e monaci della chiesa ortodossa bulgara, che ci offrono motivi fondati per essere considerati martiri e confessori. Allo stesso tempo vogliamo porre la seguente domanda: se “il sangue dei martiri è seme di cristiani” (Tertulliano), perché la chiesa ortodossa bulgara rinvia la canonizzazione di quei cristiani il cui martirio può contribuire alla rivitalizzazione del cristianesimo nella società bulgara post-ateistica? Non è facile rispondere a questa domanda. La persecuzione non è stata garanzia di santità nei primi secoli del cristianesimo e non lo è neppure sotto il comunismo. Nel caso bulgaro, comunque, questo rapporto è stato ulteriormente complicato dalla specifica politica antireligiosa adottata dai comunisti all’epoca della loro conquista del potere il 9 settembre 1944. Essi non hanno seguito il modello dei bolscevichi che attaccarono apertamente la religione, adottando una strategia più sofisticata. Non hanno previsto una distruzione immediata della chiesa nazionale ortodossa, ma la sua trasformazione in istituzione pseudo-religiosa. Inoltre, i nuovi governanti comunisti hanno usato abilmente lo stato di guerra per sbarazzarsi dei chierici più zelanti e influenti con il pretesto di combattere il fascismo. Queste e altre particolarità della persecuzione dei monaci e del clero uxorato in Bulgaria non consentono di seguire rigidamente l’esperienza russa nella canonizzazione degli uomini di chiesa ortodossi assassinati dai bolscevichi negli anni ’20 e ’30 del xx secolo. Ciò non significa che non vi siano stati martiri e confessori ortodossi bulgari, ma invita a un approccio diverso, in grado di aggirare il discorso comunista che continua a distorcere la verità riguardo ai chierici ortodossi presentandoli come “fascisti”, “nemici del popolo” o semplicemente come criminali.
Bogdan Tataru-Cazaban è dal 2010 ambasciatore di Romania presso la Santa Sede. Ha ottenuto un dottorato di ricerca in storia della filosofia patristica e medievale (Università di Bucarest) ed è membro fondatore dell’Istituto per la storia delle religioni dell’Accademia Romena. È stato docente invitato presso la Facoltà di Teologia Ortodossa di Bucarest. Ha svolto attività scientifiche e di editoria nell’ambito della Storia del cristianesimo, dei Studi tomisti, della Fenomenologia francese, della Teologia politica e sociale etc. È autore di diversi libri di filosofia e teologia. Ha tradotto in romeno Sant’Agostino, Boezio, Ugo di San Vittore, Niccolò Cusano, R. Klibansky, E. Panofsky e Emmanuel Lévinas.
La persecuzione a causa di Cristo come vincolo di comunione. Il monaco Nicolae Steinhardt e il suo Diario della felicità
Steinhardt ha incarnato la nobiltà dello spirito in un mondo che sembrava inginocchiato per sempre; la fiducia nell’umanità in un mondo sfigurato dall’odio e dal risentimento; era un cavaliere dell’assoluto in una società minata da tradimenti e duplicità. Grande lettore di Proust, Tocqueville, Chesterton, S. Weil, Valéry, Bernanos, ha introdotto nel cuore del modo di vivere la fede ortodossa, con i suoi ritmi immutati, una provocatoria freschezza, un nuovo stile, un’ autenticità profondamente moderna. Convertito nelle prigioni communiste e diventato monaco nel nord della Transilvania, Steinhardt illustra uno dei volti dell’ortodossia romena del XX secolo, accanto a Stăniloae, il grande teologo neopatristico, e a Scrima, il teologo del dialogo ecumenico. Non a caso il Santo Giovanni Paolo II lo ha evocato durante la sua storica visita a Bucarest: „Dei numerosi testimoni di Cristo desidero ricordare il monaco di Rohia, Nicu Steinhardt, eccezionale figura di credente e uomo di cultura che ha percepito in modo singolare l’immensa richezza del tesoro comune delle Chiese cristiane”.
Tamara Grdzelidze ha studiato presso la Tbilisi University (Georgia), il St Vladimir’s Theological Seminary (USA), e la Oxford University (UK). In Georgia ha svolto lavoro di ricerca sull’agiografia Georgiana presso l’Istituto Shota Rustaveli di Letteratura Georgiana, e ha insegnato lingua e letteratura georgiana nelle scuole. Dal gennaio 2001 al dicembre 2013, ha lavorato come membro della commissione Fede e Costituzione (Faith and Order) del Consiglio ecumenico delle chiese (WCC) presso Ginevra, organismo che coordina il dialogo tra i leader cristiani in materia di teologia, dottrina e natura della chiesa. Descrive la sua esperienza di dialogo ecumenico e interculturale durante il suo lavoro presso il WCC come una vera “una scuola di relazioni internazionali”. Nel 2014 è stata nominata ambasciatore di Georgia presso la Santa Sede, incarico che tuttora svolge. Tra i doni da lei presentati a papa Francesco c’era una copia del libro A Cloud of Witnesses: Opportunities for Ecumenical Commemoration (WCC 2009), da lei pubblicato in collaborazione con fr. Guido Dotti, membro della Comunità monastic di Bose. Ha pubblicato molti titoli sull’agiografia Georgiana, sulla chiesa Georgiana, sull’ortodossia e le sfide contemporanee, sull’ecclesiologia, l’ermeneutica, e il dialogo inter-confessionale. Tra la sue pubblicazioni: The limits of the Church: Essays from Orthodox Theologians on Ecumenism, a cura di Tamara Grdzelidze, Tbilisi 2000; Georgian Monks on Mount Athos: Two Eleventh Century Lives on the Hegoumenoi of Iviron (2009); Reading the Gospels with the Early Church: A Guide, a cura di Tamara Grdzelidze Geneva 2013.
Martirologio nel XX secolo. La Chiesa ortodossa di Georgia
La relazione ricostruisce la vicenda dei martiri georgiani (soprattutto membri del clero, ma anche laici) che hanno dato testimonianza in difesa della giustizia e dei diritti della chiesa durante il primo periodo del regime sovietico in Georgia (stabilito nel 1921). La loro recente canonizzazione e il loro riconoscimento come martiri da parte della Chiesa ortodossa di Georgia (nonostante essi non rientrino nella categoria del “martirio classico” in odium fidei) costituisce un evento importante. L’autrice è convinta che l’atto di fare memoria possa essere fonte di riconciliazione e che la storia possa cambiare solo con la volontà di stabilire nuove relazioni con il passato, con la disponibilità a ricordare non per il semplice scopo di ricordare, ma per fare la pace. I nuovi martiri georgiani hanno reso testimonianza a Cristo fino alla morte opponendosi all’ingiustizia del sistema politico esistente. Nell’atto della loro canonizzazione da parte della Chiesa ortodossa di Georgia si può riconoscere un buon equilibrio tra interessi nazionali e lotta contro l’ingiustizia e la dignità umana, un modo per risanare le ferite del Corpo di Cristo.