Se dei cristiani vivono in comunità hanno come primo intento quello di essere una risposta a quella proposta di amore che il Cristo ha rivolto ai cristiani: ci si riunisce insieme per vivere, spingendosi il più lontano possibile, il vero amore del Cristo, il vero amore degli altri...
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Agape non è amore debole, passivo. E’ amore in azione. Agape è amore che cerca di preservare e creare comunità. E’ cura perseverante per la comunità anche quando qualcuno cerca di frantumarla. Agape è la volontà di coprire qualunque distanza per restaurare la comunità. Non si ferma al primo miglio, ma percorre anche il secondo miglio per restaurare la comunità...
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Ogni persona ha la sua storia personale che la rende unica. Può essere stata accettata o rifiutata, avere un passato di sofferenza interiore e di relazioni difficili con i genitori. Ma in ogni essere umano c’è un ardente desiderio, e nello stesso tempo una certa paura della comunione e dell’appartenenza. Ciò che desideriamo di più è l’amore e nello stesso tempo è ciò di cui abbiamo più paura. Ci rende vulnerabili e ci apre, ma è allora che possiamo essere feriti dal rifiuto e dalla separazione. Possiamo aver paura dell’amore perché abbiamo paura di perdere la nostra libertà e la nostra creatività. Desideriamo appartenere a un gruppo, ma nello stesso tempo abbiamo paura di trovarvi una certa morte perché forse non saremo più guardati come unici. Desideriamo l’amore, ma abbiamo paura della dipendenza e dell’impegno che implica. Abbiamo paura di essere utilizzati, manipolati, soffocati, distrutti. Nei confronti dell’amore, della comunione e dell’appartenenza con tutte le loro esigenze, siamo tutti ambivalenti ...
La nostra civiltà occidentale è una civiltà competitiva. Fin dalla scuola il bambino impara a “vincere”; i suoi genitori sono incantati quando è il primo della classe. È così che il progresso materiale individualista e il desiderio di salire di grado per un prestigio più grande hanno avuto la meglio sul senso della comunione, della compassione e della comunità. Si tratta adesso di vivere più o meno soli nella propria casetta, con un cartello sulla porta che dice: “Attenti al cane!”, custodendo gelosamente i propri beni e cercando di acquistarne altri. È perché l’occidente ha perso il senso della comunità che sorgono, qua e là, piccoli gruppi che cercano di ritrovare quello che è andato perduto (JEAN VANIER, La comunità: luogo del perdono e della festa, Jaca Book, Milano 2000, pp. 32-33)