Il luogo del cuore

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Cari amici e ospiti,

oltre ai vari servizi che trovate sul sito, con i quali in questo frangente tentiamo di far sentire la nostra vicinanza e il nostro ricordo, abbiamo pensato di farvi dono di alcuni nostri ebook: un’occasione per sfruttare al meglio questo tempo.

Un giorno alla settimana, vi proponiamo un titolo che potrete scaricare gratuitamente.

Buona Lettura


Jean Lafrance, La preghiera del cuore

Troppo spesso noi intendiamo la preghiera come una realtà esterna a noi e ci sforziamo di suscitarla a partire dalle parole, dalle idee, la cerchiamo al di sopra o attorno a noi, magari in quei vecchi tomi in cui si descrivono le tecniche di preghiera. Finché cercheremo di far nascere la preghiera a partire dall’esterno non arriveremo mai a pregare in verità e con continuità.

Prima o poi ognuno arriva a scoprire di avere in sé un cuore di preghiera. Come dice bene André Louf riferendo le parole di un monaco completamente pervaso dalla preghiera e continuamente occupato in essa:

Oggi – disse – ho l’impressione che già da anni portavo la preghiera nel mio cuore senza saperlo. Era come una sorgente ricoperta da una pietra. A un certo momento, Gesù ha spostato la pietra. Allora la sorgente si è messa a sgorgare e da allora continua a sgorgare.

Bisogna dunque scoprire l’uomo nascosto nel profondo del cuore (cf. 1Pt 3,4), secondo la bella espressione dell’apostolo Pietro che illustra la situazione dell’uomo nuovo. Siamo discesi agli inferi con Cristo, nelle acque della morte che sono divenute acque luminose, e siamo stati rivestiti della sua resurrezione, cioè della potenza della sua gloria. Al punto che portiamo nel nostro inconscio non soltanto il subconscio freudiano, che è un infra-conscio, ma anche un supra-conscio, che non è nient’altro che l’energia divina, la grazia battesimale.

Non si può insegnare a qualcuno a pregare così come non gli si può insegnare a gioire, ad amare o a piangere. La preghiera procede da un istinto che è in noi, non c’è da costruirlo, bisogna solo seguirlo, imparare a lasciar parlare in sé la vita trinitaria così come un bambino impara con tutta naturalezza a dire “papà” a colui che gli ha dato la vita. Quando due giovani si amano trovano presto le parole e i gesti atti a esprimere il loro amore.

Siamo agli antipodi dell’apprendistato di un’arte nella quale ci si sforza di imparare un gesto più o meno complicato imitando ciò che viene mostrato (ad esempio, guidare un’auto). Certamente la preghiera si impara, ma piuttosto come si impara a respirare, a bere, a mangiare e a camminare. Bisogna lasciare che la vita divina prenda la parola in noi, lasciarsi andare con naturalezza, e verrà da sé. Quando si esaminano i movimenti più naturali si resta stupiti della loro complessità (ad esempio il camminare), eppure si fanno spontaneamente.

Il movimento con cui ritorniamo al centro di noi stessi per ritrovarvi Dio presente e operante, non consiste nell’autocontemplazione tipica di chi gode in modo narcisistico del proprio io, ma nell’incontrare Dio che è all’opera al cuore della nostra esistenza. Per descrivere questo cammino di ritorno al cuore l’occidente parla di raccoglimento, di silenzio interiore, di verginità del cuore. L’oriente parla di hesychía, una condizione di riposo, pace e tranquillità, che si vive all’inizio e al termine di una vita di preghiera. È uno stato di pienezza, di pace, di silenzio dell’unione con Dio. Qui ha origine la preghiera esicasta.

L’essere umano si mette in cammino e intraprende un pellegrinaggio verso il luogo del cuore: pellegrinaggio interiore, ma anche pellegrinaggio nello spazio. Tutti i pellegrinaggi nel tempo e nello spazio sono pellegrinaggi verso il luogo del cuore perché noi andiamo da un luogo all’altro alla ricerca di qualcuno che possa dirci una parola di vita e fare di noi degli esseri umani aperti alla presenza di Dio.