Testimoni del vangelo

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T. Radcliffe, Testimoni del vangelo

La vicenda inizia con il fallimento. È il fallimento del padre nel trattenere suo figlio, e il fallimento del figlio nel rimanere con suo padre. Questo non sorprende. L’evento della grazia, nella morte e resurrezione di Cristo passa attraverso il fallimento, quello della croce. In un certo senso, è la sconfitta della missione di Gesù. È un atto del dramma che non può essere saltato.

La resurrezione è un mistero di cui non comprendo interamente il significato. Ma posso dire che c’è una traccia di questo mistero: la tomba era vuota. Se il corpo di Gesù si fosse trovato nella tomba, l’affermazione non sarebbe vera. Questo mistero della resurrezione va messo in relazione con la corporeità. Molti elementi essenziali dell’insegnamento cattolico sono centrati sul corpo umano: il corpo di un bambino nella mangiatoia, l’eucaristia come dono di un corpo, la resurrezione del corpo di Cristo, la nostra stessa resurrezione. Io credo che una parte della nostra difficoltà a comprendere la resurrezione sia dovuta al fatto che tendiamo a considerare il corpo umano come un semplice involucro di carne e ossa. Ma il corpo è molto più di questo: esso ci permette di essere presenti accanto ad altre persone. È la mia corporeità a rendermi presente all’altro. Nello stesso tempo, il corpo ci impone ogni sorta di limitazioni: se mi trovo nella stanza accanto, non posso essere qui con lei; se qualcuno è morto, io non posso parlargli.

La resurrezione del corpo è quindi ben più della rianimazione di un cadavere. È la trasfigurazione della presenza di Cristo presso di noi, al di là di tutte le barriere che la nostra esperienza della corporeità ci impone. Forse un modo di pensare la resurrezione è di vederla come la trasformazione di Cristo in pura comunione.

La resurrezione di Cristo trascende tutti i limiti. La nostra condizione corporea ci impone un limite, costituisce un ostacolo al raggiungimento della piena comunione con gli altri esseri umani. Tante cose possono impedircelo: la distanza materiale ma anche la differenza di lingua, i malintesi, la menzogna, l’ostilità e, al di sopra di tutto, la morte. La notte che ha preceduto la sua morte, Gesù ha riunito i suoi amici per celebrare la loro comunione nell’ultima cena. Essi non l’hanno compreso. Sono poi fuggiti. Sono stati travolti dalla paura. Giuda ha venduto Gesù. Pietro l’ha rinnegato. Ma soprattutto Gesù è morto. Tutto ciò che può distruggere la comunione, Cristo l’ha abbracciato. La sua resurrezione è quindi il trionfo su tutti questi limiti. La sua resurrezione è pura comunione, unità assoluta, trasparenza infinita.

Tutti gli esseri umani, al fondo di se stessi, aspirano a tale comunione senza limiti. Noi la ricerchiamo nell’amore. Ma in realtà possiamo trovarla solo nella resurrezione. L’evangelo è l’invito a cominciare a vivere, già fin d’ora, questa comunione della resurrezione.

Con Paolo noi proclamiamo il Cristo che “ha abbattuto il muro di separazione” (cf. Ef 2,14), che ci chiama a distruggere le barriere che ci separano gli uni dagli altri. Ciò riguarda tutte le dimensioni della nostra vita. L’evangelo può abbattere i muri che separano i tutsi dagli hutu, i serbi dai croati, i cattolici dai protestanti nell’Irlanda del nord. Può distruggere l’odio nei nostri cuori, l’ostilità all’interno delle nostre famiglie. Può trasformare quelle strutture economiche che rendono i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Pensi alle straordinarie parole del Magnificat: “Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote” (Lc 1,52-53). Si tratta di molto di più che un programma politico: è la resurrezione che fa irruzione, ora. E questo può cambiare radicalmente le nostre vite.