Ciò che è autenticamente umano è anche veramente spirituale

Nel cristianesimo, dove la parola “Dio” è narrata dall’uomo Gesù, nel cristianesimo, così radicato nella storia e nella stessa carne umana, io trovo quella totale valorizzazione dell’umano che mi porta a dire che ciò che è autenticamente umano è anche veramente spirituale, e che criterio dell’autenticità spirituale è il rispetto della verità dell’umano. In questo senso comprendo l’affermazione neotestamentaria che Gesù Cristo “ci insegna a vivere” (Tito 2,12): non nel senso che l’uomo non sappia apprendere anche da sé l’arte del vivere, ma nel senso che l’umanità vissuta da Gesù è veramente divina, è talmente vera da essere eminentemente spirituale proprio mentre è semplice e radicalmente terrena. Qui intendo la fede come cammino del senso: cioè come innestata nell’umano, come capace di orientare e di portare a pieno sviluppo ciò che vi è di più autentico nell’uomo.
Non si tratta solo (e neppure tanto) di cogliere l’utilità della fede mettendola a servizio del bisogno di senso dell’uomo, ma di vedere il tipo d’umanità realizzata e vissuta da Cristo come il fondo più vero dell’umano.

Il Cristo che muore in croce, che abita il luogo della disperazione, dell’abbandono umano e di Dio, dell’annichilimento della dignità dell’uomo (visibilizzata nella totale nudità del crocifisso) e che vive questo con amore perdonando i suoi aguzzini – così che a partire da ciò che ha vissuto trovo credibile la sua richiesta di “amare i nemici” (Matteo 5,44; Luca 6,27-35) - mi rivela qualcosa che forse non mi convince razionalmente, ma certamente mi vince.

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