Cattedrale di prossimità - Osservatore Romano

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Monastero di Bose
Ufficio Nazionale per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto – Cei
Consiglio Nazionale Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori

XVI CONVEGNO LITURGICO INTERNAZIONALE
ARCHITETTURA DI PROSSIMITÀ

Idee di cattedrale, esperienze di comunità

BOSE, 31 maggio - 2 giugno 2018


Sarà Mario Botta con una relazione sulla cattedrale come metafora dell’architettura a concludere sabato 2 giugno presso il monastero di Bose il sedicesimo convegno liturgico internazionale. I lavori inizieranno il 31 maggio con l’intervento del fondatore Enzo Bianchi. Il convegno è dedicato quest’anno alla «architettura di prossimità», indagando, come recita il sottotitolo, su «idee di cattedrale» ed «esperienze di comunità». Infatti, all’attuale fase di adeguamenti liturgici delle cattedrali non può non corrispondere anche una rinnovata visione dell’esperienza della comunità cristiana. Non solo. Come spiegano gli organizzatori, l’architettura cristiana è chiamata a iscriversi all’interno di una sociologia urbana e a interagire con essa, consapevole dei luoghi contemporanei di socialità in città, tra presenze monumentali centralizzanti», come musei e piazze, «e diffusione di luoghi informali o non-luoghi», come gli attuali centri commerciali. All’incontro, promosso dalla comunità monastica biellese in collaborazione con l’ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto della Conferenza episcopale italiana, partecipano teologici, esperti e docenti provenienti da Stati Uniti, Francia, Spagna, Germania, Paesi Bassi, Belgio, Austria e Italia. Anticipiamo stralci degli interventi di tre relatori.


Osservatore Romano
di Goffredo Boselli

La cattedrale è il luogo fisico e simbolico più elevato della presenza della Chiesa in una regione. Nella sua tangibile materialità concentra e rappresenta la storia della presenza cristiana in quella terra e, nelle tracce archeologiche che di frequente la cattedrale conserva, custodisce gli inizi e le fondamenta della presenza cristiana in quella regione. Per questo, la cattedrale è la diocesi stessa, è il locus per antonomasia della Chiesa locale, della sua storia di fede e di cultura di cui le epoche storiche che si sono succedute con i loro stili, le evoluzioni liturgiche, le devozioni e le pratiche hanno lasciato segni e tracce indelebili iscritte negli spazi e sulle pareti. Per questo, la cattedrale è il microcosmo della fede del popolo dei credenti di quel territorio, che attraverso i secoli non solo ha vissuto e testimoniato la sua fede, ma che l’ha voluta e saputa anche confessare attraverso le tante capacità non solo architettoniche e artistiche ma anche artigianali e manuali che hanno messo in azione attorno a essa.

Le cattedrali sono probabilmente la sintesi e la più alta espressione di ciò che la fede cristiana può realizzare a livello architettonico e artistico. Più esattamente le vette che in occidente si sono raggiunte quando la fede cristiana ispira la genialità e la creatività dell’essere umano, quando promuove, incoraggia, coltiva e sostiene l’insieme della arti. Nelle più grandi cattedrali come in quelle più modeste si può raggiungere la totalità delle arti classiche convocate al servizio della fede e della liturgia: l’architettura, la scultura, la pittura, l’oreficeria, la vetreria, la lavorazione dei marmi, delle pietre, dei tessuti alle quali si aggiungo il canto, la musica e perfino l’arte oratoria. Davvero si intuisce il sentimento che il salmista voleva esprimere esclamando che nel tempio di Gerusalemme «tutto grida gloria» (Salmi, 29).

Questa è la ragione per la quale è improprio affermare che la cattedrale è anzitutto un luogo liturgico e solo successivamente un’opera architettonica e artistica, quasi che il rito, l’architettura e l’arte fossero elementi semplicemente giustapposti e autonomi uno dall’altro. La cattedrale è il centro spirituale e liturgico della diocesi non solo perché in essa il vescovo presiede i riti liturgici più solenni ma perché l’architettura e le arti sono esse stesse espressione spirituale e liturgica. La liturgia, infatti, non può essere ridotta al mero rito celebrato con le sue norme, ma è un dato permanente iscritto nelle pietre, nelle forme, negli spazi, nella luce, nei suoni e in tutti gli elementi che fanno una chiesa e dunque partecipano attivamente all’atto celebrativo.

Il Caerimoniale episcoporum afferma: «Le celebrazioni presiedute dal vescovo non sono un semplice apparato di cerimonie ma manifestano il mistero della Chiesa alla quale Cristo è presente. Pertanto queste celebrazioni siano un esempio per tutta la diocesi» (n. 12). Se dunque è compito proprio delle liturgie del vescovo di essere «un esempio per tutta la diocesi», questa esemplarità non può venir meno anche nelle altre celebrazioni che avvengono nella cattedrale. È il valore e il significato della chiesa madre della diocesi che lo richiede e non semplicemente la presenza o meno del vescovo.

Alla grande attenzione che in questi anni si ha verso il valore storico, architettonico e artistico delle cattedrali, con il conseguente impegno di rinnovamento dello spazio liturgico e dei suoi poli, deve corrispondere e seguire un altrettanto impegno nella cura e nella bellezza delle liturgie che in esse sono celebrate. Alla qualità architettonica e artistica talvolta uniche delle nostre cattedrali deve corrispondere anche la qualità liturgica delle sue celebrazioni. Non è sufficiente rinnovare lo spazio liturgico se poi le liturgie che vi si celebrano non sono all’altezza del luogo, non solo quelle presiedute dal vescovo ma anche quelle che ordinariamente si celebrano, specie quelle domenicali. «La chiesa cattedrale deve essere considerata il centro della vita liturgica della diocesi», raccomanda il Caerimoniale episcopurum (n. 44). Si è talvolta assaliti da sentimenti di sconforto e smarrimento nel constatare l’evidente stridore tra la straordinaria bellezza del luogo e la sciatteria della celebrazione, la grandezza di quello spazio e la miseria di quel rito, l’armonia delle forme architettoniche e la stonatura dei canti e delle musiche. È responsabilità della Chiesa celebrare liturgie all’altezza della magnificenza delle cattedrali che la storia ci ha consegnato. Quella storia che ci insegna che l’eloquenza della fede non sta solo nella parola della predicazione o nell’atto di carità, ma anche nella bellezza del gesto rituale, nell’armonia del canto e della musica, degli spazi e dell’arte per la liturgia.

Far vivere le nostre cattedrali oggi, riconoscere intatto il loro valore e il loro significato vuol dire anche garantire a esse liturgie degnamente celebrate. Se le diocesi compiono oggi grandi sforzi nei restauri e nei rinnovamento degli spazi liturgici della cattedrale, devono anche investire economicamente nella professionalità dell’organista, in quella del cantore, del maestro di coro, nella selezione e una seria formazione della schola cantorum. Almeno per le liturgie delle cattedrali non si dovrebbe acconsentire in alcun modo al livello amatoriale, all’improvvisazione e alla buona volontà generalmente mirabili per dedizione ma deplorevoli per i risultati. Domandiamoci: anche per il mondo cattolico si è costretti a dire ciò che nel suo Journals Alexander Schmemann lamentava di quello ortodosso per lui diventato «incosciente delle ricchezze fondatrici della sua liturgia»?

In ogni diocesi, almeno quelle con maggiori mezzi e possibilità, la vocazione oggi delle cattedrali è quella di essere la chiesa dove si può fare esperienza della bellezza della liturgia. Soprattutto per le persone, e sono tante, con spiccato senso estetico, particolarmente sensibili alla bellezza del canto e della musica, del rito celebrato con cura senza per questo essere lezioso e artificiale. Risuona a un tempo come un monito e un compito indirizzato in primo luogo alle liturgie delle cattedrali quello che Papa Francesco afferma in Evangelii gaudium: «La Chiesa evangelizza con la bellezza della liturgia».

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