Tra isolamento e solidarietà

La famiglia, la società civile, la comunità religiosa hanno isolato questo sofferente decretando su di lui una silenziosa e complice condanna a morte. Gesù non si sottrae alle tensioni profonde che l’incontro con questa persona suscita: egli accoglie le urla e le invettive dell’uomo, non fugge di fronte alla violenza verbale, non si lascia intimidire dalla pericolosità dell’uomo o bloccare dall’espressione esterna del malessere, ma ascolta la sofferenza da cui nascono le grida che proclamano il rifiuto della sua persona sentita come una minaccia: “Non tormentarmi” (Marco 5,7). Significativamente, gli atteggiamenti di difesa e di non coinvolgimento che la società ha mostrato nei suoi confronti, sono ora gli atteggiamenti che il malato oppone a Gesù. Ma Gesù, mentre sente le urla ascolta la sofferenza dell’uomo, mostrando che l’ascolto della sofferenza dell’altro – quale che sia la forma anche sgradevole in cui si manifesta -, è la radice profonda della solidarietà. Gesù guarisce poi questa persona non in modo magico, ma con l’arte e la fatica dell’incontro e del dialogo. La solidarietà appare anzitutto un parlare-con, un dare la parola e offrire ascolto a colui che nessuno più voleva vedere e ascoltare. Gesù scaccia i demoni “con la parola” (Matteo 8,16): la sua azione terapeutica avviene all’interno di un colloquio. E, come in un dialogo terapeutico, Gesù inizia chiedendo il nome alla persona (Marco 5,9), cerca cioè di far emergere la sua identità personale, di restituirla a se stessa. Per Gesù la malattia non espropria la persona della propria identità. Gesù spende tempo ed energie con quest’uomo e con la parola egli scioglie colui che la società voleva legare (Marco 5,3-4). Gesù ascolta, accoglie, sta con, dona il suo tempo, dà la parola, in certo senso presenta “se stesso come farmaco” e così fa dell’incontro solidale lo spazio di trasformazione della persona. La guarigione è anche un ritrovamento della relazione e della capacità relazionale. Credendo all’umanità di quest’uomo, Gesù lo personalizza, infonde in lui fiducia in se stesso, mostra che un futuro sensato gli è possibile. Vivendo una relazione sensata e normale con questa persona egli arriva anche a vederla restituita alla capacità di comunicazione con se stessa, con gli altri e con Dio. Né Gesù “si appropria” della persona per cui ha fatto tanto, anzi la restituisce alla sua vita (Marco 5,19). Ascoltando la sofferenza profonda di questa persona, Gesù la restituisce alla sua umanità. Certo, la guarigione di colui che delirava, girava nudo, si percuoteva e che ora appare “seduto, vestito e sano di mente” (Marco 5,15) ha anche un prezzo sociale: il prezzo simbolizzato dalla perdita dei duemila porci. “La guarigione profonda dell’uomo chiede un prezzo a quella stessa società civile che non ha saputo accoglierlo, perché il benessere di una persona nella collettività è un fatto che investe tutti, che chiede tempo, energie, risorse, attenzione per il suo reinserimento sociale” (Carlo Maria Martini). La solidarietà di Gesù, fatta di ascolto che personalizza, guarisce quest’uomo che la società aveva rifiutato.

L. Manicardi

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